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Il punto rosso
C'era una volta… l'Italia ai giorni nostri.
L'Italia in cui si parla di un ritorno alla lira ed i cui abitanti lamentano le promesse non mantenute dai politici che affollano i salotti televisivi.
L'Italia descritta dal filmaker Marco Carlucci nel suo lungometraggio d'esordio, "Il punto rosso", progetto cinematografico indipendente interamente realizzato attraverso tecnologie digitali e basato principalmente sull'innovativo modello di coproduzione privata, mediante il quale si rende possibile la realizzazione di un film di qualità al di fuori dei circuiti produttivi ufficiali.
Quindi, l'Italia dove vive, a Roma, il cabarettista Riccardo Simeoni alias Ricky, cui concede anima e corpo Fabrizio Sabatucci, talmente deciso a spingere lo stivale più famoso del globo verso un radicale cambiamento, da abbandonare il proprio mestiere per darsi alla politica e fondare, supportato dai suoi amici - i quali hanno i volti di Andy Luotto, Francesco Venditti e la tanto carina quanto brava Valeria Mei -, il partito neutro "Gli invisibili".
Un nome che lascia già intuire la posizione intelligentemente anarchica (o apolitica?) che assume il lungometraggio, concepito in un momento storico in cui, tra beghe della burocrazia, drammi dell'usura e strumentalizzazione dei media istituzionali contro la libertà di comunicazione, gli ideali non sembrano più avere alcun valore, spesso rappresentati da figure che l'ormai preparato cittadino del XXI secolo non tarda ad associare a personaggi di spettacolo (anche perché molte di esse lo sono) in cerca di consenso.
Non a caso, è proprio dal momento in cui Ricky comincia ad indossare un rosso naso da clown che inizia ad attirare su di sé l'attenzione popolare, mentre fanno la loro entrata in scena nomi noti della celluloide tricolore come l'immancabile Stefano Antonucci, il cui curriculum spazia da "E noi non faremo karakiri" (1981) di Francesco Longo all'imminente "In memoria di me" di Saverio Costanzo, il veterano Angelo Infanti, nei panni di un personaggio vagamente bergmaniano (asserisce, tra l'altro, che l'equilibrio ha permesso ai romani di dominare il mondo per millenni), e l'intramontabile Anna Longhi, in quelli di un'anziana casalinga che suscita risate ogni volta che apre bocca, esprimendo il proprio disagio nei confronti della politica tramite l'esilarante affermazione: "La pensione mia è sempre ferma, come er nano der circo: io ero ragazzina, so' passati l'anni, lui è rimasto sempre uguale".
E sono soltanto alcuni dei nomi che compongono un nutritissimo cast, nel quale troviamo, tra gli altri, Claudio Insegno, Ernesto Mahieux, Elisabetta Cavallotti ed Alessandra Pierelli, al servizio di una tutt'altro che noiosa commedia ricca di situazioni divertenti (da antologia la telefonata verdoniana durante il colloquio con Solvi Stubing), per merito anche del buon montaggio ad opera dello stesso Carlucci, cui possiamo rimproverare soltanto qualche minuto di troppo (la durata è di circa due ore); mentre una spruzzata di thriller ci conduce ad un inaspettato epilogo che, se da un lato ci rende consapevoli del fatto che tendiamo sempre più ad accomunarci obbligatoriamente a marionette-vittime in mano ad un sistema-carnefice ancor più invisibile - e perciò pericoloso - del partito fondato da Ricky, dall'altro testimonia per l'ennesima volta che un cinema di taglio popolare può tranquillamente comunicare messaggi di carattere sociale ai propri fruitori tramite l'intrattenimento, in maniera più incisiva di qualsiasi, complicato prodotto che viene (spesso abusivamente) definito d'autore.
La frase: "E' solo un cabarettista, non ha le palle per andare avanti fino in fondo".
Francesco Lomuscio
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