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Il professor Cenerentolo











Sono passati ben 20 anni dall’esordio alla regia di Leonardo Pieraccioni, l’attore toscano che in più di un’occasione è riuscito a divertire il grande pubblico con battute esilaranti e dialoghi freschi, vivaci e per nulla scontati.
A due anni di distanza dal flop cinematografico “Un fantastico via vai”, con il quale il regista aveva voluto rendere omaggio alla pellicola “I laureati”, ma in chiave moderna, torna a far parlare di sé con “Il professore Cenerentolo”, la cui sceneggiatura è stata realizzata in collaborazione con il veterano Giovanni Veronesi e Domenico Costanzo.
Il progetto racconta di un ingegnere, Umberto, che - arrestato a causa di un colpo in banca finito male - dovrà scontare ben quattro anni di carcere sull’Isola di Ventotene. Una sera, quando ormai la sua pena sta per finire, incontra l’avvenente Morgana (Laura Chiatti), una donna mentalmente disturbata che ruberà il cuore dello sfortunato galeotto. Costretto ad un percorso obbligato, che prevede solo carcere e biblioteca in cui lavora, l’uomo dovrà vedere la donna senza farsi scoprire dal direttore della galera (Flavio Insinna), ma l’impresa sarà più complicata di quanto Umberto si immaginava.
Morgana, tra l’altro, inizialmente è convinta che l’uomo sia un educatore della prigione, ma in seguito scoprirà la verità e... se son rose fioriranno.
Diversamente dalle altre commedie del noto toscano, in questo caso il suo personaggio gode sì di buona fama, ma è l’ambientazione che lo rende differente dagli altri da lui interpretati. Abituati a commedie come “Il ciclone”, “Il principe e il pirata”, “Ti amo in tutte le lingue del mondo” e “Una moglie bellissima”, le quali hanno reso Pieraccioni apprezzabile, la nuova pellicola non riesce ad esplodere positivamente, in quanto intrinseca di battute fuori luogo, a tratti offensive e superflue ai fini del racconto. La narrazione tende ad annoiare lo spettatore perché basata su cliché (riferiti al collaboratore affetto da nanismo e alla donna dalla personalità instabile) che non arricchiscono la trama e non la rendono più divertente di quanto già non sia. Senza contare che la sceneggiatura risulta piatta e povera di idee.
Non assistiamo a nulla di innovativo, a partire dalle scelte registiche, che non rendono grazia all’ambientazione così suggestiva, se non in rare occasioni.
Oltre a Pieraccioni, che con la sua inconfondibile mimica facciale e la gestualità è riuscito a strappare qualche sorriso, ritroviamo nel cast Massimo Ceccherini, il quale ha condiviso con l’attore ogni set dei suoi lungometraggi. In questa occasione, però, il suo ruolo è molto più piccolo rispetto alle altre parti a lui affidate. Ha più spazio Sergio Friscia, che interpreta un carcerato dal carattere simpatico e dai modi rozzi. Accanto a loro troviamo Davide Marotta, ricordato per lo spot pubblicitario della Kodak trasmesso tra gli anni ’80 e ’90 e per il suo ruolo nell’horror “Phenomena”, che - nonostante si sia dimostrato pienamente in parte - sembra venir preso costantemente in giro per via del suo nanismo. La maggior parte delle battute, alcune davvero tristi, tra Umberto e il suo collaboratore, infatti, si riferiscono alla statura dell’attore.
Diciamolo, si può far ridere anche senza risultare impertinenti, ma non è questo il caso.
Eppure Pieraccioni nei suoi lavori precedenti non ha mai avuto bisogno di farlo. È anche per questo motivo, probabilmente, che di risate in sala se ne sono sentite poche. Sappiamo anche, però, che sono proprio questi i progetti che tendono a divertire il pubblico.
Laura Chiatti, nel ruolo del nuovo interesse amoroso di Umberto, già separato e con una figlia, non è stata affatto credibile, ma anzi ha dato vita ad una figura che, spesso, risulta a dir poco fastidiosa.
L’idea di scegliere un personaggio femminile con caratteri differenti da quelli che eravamo abituati a vedere sul grande schermo è buona, perlomeno le permetteva di distinguersi dalle altre figure presenti nei film del regista, ma è assodato ormai che il troppo storpia. E qui di storpiature ce ne sono state fin troppe. L’attrice, infatti, non è riuscita a dare il giusto spessore al suo personaggio e più che altro sembra dover impersonare una donna che sbandiera acuti a destra e a manca.
Il ruolo di Flavio Insinna, il direttore del carcere, è stato quello più riuscito, probabilmente perché l’attore e conduttore televisivo ha dovuto vestire i panni del burbero dal cuore d’oro in più di un’occasione.
A mancare è senza dubbio l’alchimia tra i due protagonisti, o meglio tra Umberto e Morgana, i quali tra una fuga e l’altra troveranno non poche difficoltà a coronare il loro "sogno d’amore", un amore che ha preso piede in soli due giorni.
Una commedia scontata che non dona niente di originale al cinema italiano e ci lascia con un finale consolatorio, tipico dei lungometraggi di Pieraccioni.

La frase:
"E comunque ingegnere, non ladro. Diglielo a codesti della scuola".

a cura di Rosanna Donato

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