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Il principe del deserto











Dopo diversi anni il famoso regista francese Jean Jacques Annaud, membro dell’Académie des beaux- arts, e autore di film importanti e famosi come "Sette anni in Tibet", torna dietro la macchina da presa spostando il suo sguardo in Arabia, all’inizio del ventesimo secolo, sotto il sole cocente del deserto, dove tradizione, cultura e religione si fondono insieme e si scontrano sul campo di battaglia.
E’ una nuova epopea di guerra, un nuovo colossal che ricorda, solo in parte la spettacolarità del grande cinema d’intrattenimento di Hollywood, perché a reggere i fili della storia sono i sentimenti di un uomo che ama i libri e lo studio, ma si trova improvvisamente a dover prendere parte a una guerra. Da ragazzo impacciato con la testa sui libri si trasforma in un leader capace di unire popoli, tribù con tradizioni diverse accomunate dalla stessa fede e irrobustiti dalla terribile vita nel deserto. Auda, questo il nome del protagonista, dovrà affrontare però non sono gli uomini e gli intrighi di potere, lo scontro fra accettazione e rifiuto per una civiltà diversa, quella occidentale, ma al tempo stesso dovrà combattere con un nemico ancora più grande di lui, immenso ed eterno: il deserto.
Il regista Annaud torna dunque a parlare di guerra così, partendo dalla prima guerra mondiale con "Bianco e nero a colori", passando per la seconda guerra mondiale e la battaglia di Stalingrado con "Il nemico alle porte", ora dà voce al Medio Oriente, e lo fa adattando per il grande schermo il successo del romanzo "Il Paese delle ombre corte", scritto dal pilota automobilistico, scrittore, sceneggiatore ed editore svizzero Hans Ruesch (Napoli 1913- Massagno 2007).
Il film prodotto da Tarak Ben Ammar e dal Doha Film Institute del Quatar ricorda film che hanno fatto la storia del cinema, in primis "Lawrence D’Arabia" di David Lean o ad alcuni di Sergio Leone, come ambientazione e atmosfere. E’ un film antico e al tempo stesso moderno, che cattura lo spettatore attraverso pochi semplici elementi come il deserto spazzato dai forti venti, la sete, la schiavitù, il desiderio di libertà e di speranza che alberga in ognuno, il sentimento della fratellanza. Attraverso Auda vengono messi a confronto due mondi e due culture diverse, quella Occidentale e quella Orientale, la tradizione si scontra con la modernità, l’amore per la famiglia e la speranza di benessere sono gli elementi cardine e i perni su cui ruota questa pellicola cruda, ma al tempo stesso romantica.
Bellissime le scene di guerra, dal ritmo decisamente sostenuto che spezzano in parte il ritmo lento e costante della pellicola che sembra voler riecheggiare l’inesorabile e ineluttabile vita/morte del deserto.
Eccezionali gli interpreti, in primis proprio Tahar Rahim nel ruolo di Auda e già protagonista di "Un profeta", cui si affianca un convincente Antonio Banderas nel ruolo del sultano Nesib che sogna per il suo popolo un destino migliore della morte per fame e malattia. Interessante come interpretazione è quella di Mark Strong, nel ruolo del sultano Amar che governa e regola la sua vita così come il suo regno in attesa dell’abbraccio di Allah, e infine l’affascinante Freida Pinto, già protagonista di "The Millionaire", nel ruolo della principessa Leyla, figlia di Nesib e moglie di Auda.

La frase:
"Essere un arabo è come essere un cameriere al banchetto del mondo".

a cura di Federica Di Bartolo

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