Il nostro Messia
Tra denuncia e aspirazioni artistiche, "il nostro messia" è un film sulla difficoltà di fare un film, dedito più allo sfogo che al pubblico. Scrive, dirige e interpreta Claudio Serughetti, pittore e musicista all’esordio nel lungometraggio grazie alla formula "the Coproducers" (prestazioni del cast e dei fornitori retribuite con quote dell’opera), mentre la "Trees Pictures" ed altri associati avevano anticipato le spese di base. Per la circuitazione, di fronte alla condizione imposta dalle distribuzioni interessate, cioè un’uscita a spese dei realizzatori, questi ultimi hanno deciso di far da soli, creando l’associazione culturale "Apocalypse flower".

Il nostro paese vive un "genocidio culturale", con predicatori ("noi italiani rinunciamo all’intelligenza per fotterci a vicenda", in riferimento agli scandali finanziari), la persona qualunque lavorista scoppiata, un ambiente artistico vacuo e drogato (non mancano anche frecciate a colleghi). Troppi i nemici del cinema: finanziamenti bloccati, le case di produzione chiudono e senza agganci politici niente soldi. Inoltre un copione può venir considerato eccessivamente ardito per un mercato nazionale influenzato dal Vaticano, l’autore si vede umiliato dallo stravolgimento della sua sofferta sceneggiatura e gli impongono attrici di fiction TV perché "in quota" ad utili pezzi grossi. Il tutto a titolo gratuito. Serughetti prende come narratore (nonchè critico per vendetta) Tinto Brass, e cala sé stesso in mezzo a 5 attrici. L’anello più debole della catena, sirene sognatrici e intercambiabili, costrette a provini a vuoto e a lavori frustranti, sperano che il regista venuto dall’estero sia il salvatore del titolo.
Un Pasolini pluriomaggiato - addirittura con un pellegrinaggio al monumento all’idroscalo di Ostia (sulla melodica voce di Dolcenera, in un’unica suggestiva scena) - non è però sufficiente per portare una dote ad una pellicola quasi contro tutti, nata come corto poi stiracchiato negli anni: "in fondo girare sarebbe stato banale. Così è poesia". Solo che il film vero alla fine risulta girato, e a mancare è invece la poesia.

La frase: "Cercare soldi per la cultura oggi in Italia lo trovo grottesco, surreale, certamente coraggioso".

Federico Raponi

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