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Il nascondiglio
Famoso soprattutto grazie alle sue seriose commedie, il prolifico regista romagnolo Pupi Avati è uno di quei nomi che, a partire dagli esordi all’inizio degli Anni Settanta con titoli come “Thomas e gli indemonianti” o “Balsamus l’uomo di Satana”, non ha mai nascosto una certa tendenza verso storie caratterizzate da cupi toni fantastici.
Ora, undici anni dopo “L’arcano incantatore” che, datato 1996, narrava di esoterismo e lotte contro il Maligno in terra emiliana, si riavvicina al genere horror con un lungometraggio di cui racconta: "Ho scritto recentemente un romanzo breve intitolato "Il nascondiglio" e ad esso è direttamente ispirato questo film – incentrato su una diceria che riguarda una vicenda torbida e cupissima che aleggia su una casa in cui una donna italiana tenta improvvisamente di aprire un ristorante italiano. Avevo avvertito il desiderio di tornare a quel genere gotico che avevo già frequentato in anni passati con "La casa dalle finestre che ridono", "Zeder" e "L’arcano incantatore" ed ho pensato così ad un thriller ambientato nella provincia americana, con un preambolo negli anni ‘50".
Quindi, una pellicola che si riallaccia al filone delle dimore maledette, in voga dalle nostre parti soprattutto negli anni ’80, con i vari sequel apocrifi de “La casa”, ed oggi rilegato per lo più a produzioni straight to dvd a stelle e strisce, la quale, interpretata da Laura Morante (“Ricordati di me”) nei panni di una donna appena uscita da una clinica psichiatrica dove ha trascorso i quindici anni succeduti alla morte per suicidio del marito, ricorda sotto certi aspetti proprio “La casa dalle finestre che ridono”.
Ma, a dispetto della moderna propensione agli eccessivi spargimenti di liquido rosso, lo splatter si limita in realtà a due sole sequenze decisamente efficaci, mentre veniamo trasportati in un fitto intrigo prevalentemente costruito sui dialoghi che, impreziosito dalla bella fotografia di Cesare Bastelli e Pasquale Rachini – abituali collaboratori di Avati – e da un curatissimo sonoro dispensatore di scricchiolii e rantoli, si presenta nelle vesti di spettacolo della paura su celluloide alla vecchia maniera, tanto più che la protagonista sembra fare a meno di telefoni cellulari e che la coinvolgente ed inquietante atmosfera viene garantita tramite il semplice ricorso a nebbia, porte cigolanti e fantasmagoriche voci infantili.
Uno spettacolo al termine della cui visione veniamo quasi invitati a riflettere sulle spaventose ed impensabili verità che potrebbero nascondersi dietro i tanti fatti di cronaca nera risolti e non, ed al quale, ancor prima che certi risvolti illogici, che finiscono invece per rivelarsi utili al funzionamento dei meccanismi della tensione (vi dicono niente gli argentiani “Suspiria” e “Inferno”?), possiamo rimproverare soltanto gli immancabili atteggiamenti teatral-isterici dell’attrice protagonista ed il poco spazio concesso a figure che sembravano avere maggiore importanza, dalle star internazionali Treat Williams (“Hair”) e Burt Young (“Rocky”) ai veterani dell’horror nostrano Venantino Venantini e Giovanni Lombardo Radice (li ricordate, insieme, in “Paura nella città dei morti viventi” di Lucio Fulci?).
Allora è vero che in Italia esiste ancora qualcuno in grado di confezionare riusciti prodotti di genere...
La frase: "Ricordate che molte cose possono accadere in una notte".
Francesco Lomuscio
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