Il miracolo di Berna
Oltre alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, la storia tedesca dal secondo dopoguerra in poi è segnata da un altro evento fondamentale: la vittoria ai mondiali di calcio del 1954, passata alla storia come "Il Miracolo di Berna".
Il 7 luglio di quell'anno infatti, nello stadio della capitale svizzera la squadra tedesca vinse con uno storico 3 a 2 il titolo di campione del mondo, nella partita contro l'allora fortissima squadra ungherese. Quella vittoria, divenuta immediatamente un mito per l'intero Paese, divenne soprattutto un simbolo per la popolazione uscita distrutta e umiliata dagli anni oscuri del Terzo Reich.

Autore e produttore, oltre che regista del film, Soenke Wortmann racconta quell'evento tanto emblematico attraverso lo sguardo del dodicenne Matthias appassionato di calcio e "mascotte" di uno dei protagonisti di quella storica vittoria, Helmut Rahn. Il ragazzino vive con la madre, il fratello e la sorella in una cittadina mineraria della Germania dell'Ovest e, dopo aver passato la sua intera esistenza senza la figura paterna, si vede piombare a casa un uomo smagrito e afflitto dai lunghi anni di prigionia in Russia. Quel ritorno sconvolge i precari equilibri famigliari e getta delle ombre sulle abitudini e le certezze dei suoi componenti. Ma saranno proprio i sogni del piccolo Matthias e la sua passione per il calcio a scuotere il padre dal suo senso di straniamento, riaccendendo in lui la speranza di una vita senza incubi.

La storia ideata da Wortmann avanza per piani paralleli: se il protagonista infatti resta indiscutibilmente l'undicenne Matthias, attorno a lui girano anche altri personaggi legati dalla passione per il calcio e soprattutto dall'entusiasmo per l'andamento del campionato. Dal giornalista sportivo alla sua prima e fondamentale esperienza di inviato speciale, accompagnato dalla giovane e ben più spigliata mogliettina, agli stessi 22 calciatori che l'allenatore, insieme al capitano della squadra, tenta di trasformare in una équipe unita e vincente.
Il regista tedesco segue con attenzione la propria sceneggiatura e i ben delineati personaggi, attraverso i quali si dipanano i sentimenti, le contraddizioni e le aspettative di un popolo ancora in piena crisi. Attraverso il resoconto di una partita, Wortmann attinge alla memoria collettiva di un'intera nazione e trasforma quell'evento in una metafora del ritorno alla vita. Con maestria riesce ad alternare la gravità e la drammaticità del ritorno a casa dell'ex-prigioniero alla leggerezza dell'evento sportivo; la perdita delle illusioni dell'uno alla speranza di vittoria di tutti gli altri. Attraverso quei 22 giocatori che corrono attorno ad una palla, racconta il ritorno alla vita di una nazione rimasta a lungo isolata dal resto del Mondo.

Valeria Chiari

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