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Il mercante di stoffe
Finanziato nel 2005 con il fondo del Ministero per i beni e le attività culturali e portato a termine solo grazie alla testardaggine del protagonista Sebastiano Somma dopo il sorgere di complesse vicende legate alla precedente produzione, è a quelle donne che gridano dolore soffocate nel silenzio che è dedicato il terzo lungometraggio a firma del romano Antonio Baiocco, autore di "Sulle ali della follia" (1993) e "Passaggio per il paradiso" (1998).
Una storia d’amore clandestina tra due soggetti socialmente e culturalmente lontani, in fin dei conti, con l’interprete della serie televisiva "Un caso di coscienza" nei panni di Alessandro, mercante di stoffe in Marocco per lavoro, ed Emanuela Garuccio in quelli di Najiba, ragazza araba promessa in sposa ad Omar alias Antonio Campobasso.
Una storia d’amore raccontata in flashback attraverso i giovani italiani Marco e Luisa, i quali, rispettivamente con le fattezze dei televisivi Luca Capuano e Patrizia Pezza, approdano nel sud della nazione alla ricerca di un antico medaglione in un villaggio abbandonato.
E poco importa se l’esile script – a firma dello stesso regista insieme a Franco Cardi – non sembra discostarsi poi molto da quelli spesso alla base di tante fiction televisive proto-soap opera, in quanto i circa 80, semplici minuti di visione (non molti, dunque) finiscono per annoverare diversi pregi.
Infatti, nonostante i lenti ritmi di narrazione, Baiocco riesce ad accattivarsi lo spettatore grazie ad una confezione generale decisamente curata, supportato sia dal notevole lavoro scenografico svolto da Alfonso Rastelli che dall’ottima fotografia a cura del grimaldiano Maurizio Calvesi e dell’Adolfo Bartoli il cui curriculum include una lunga serie di titoli sfornati dal re dei b-movie Charles Band (il produttore della serie "Puppet master", per intenderci).
Una volta tanto, poi, la recitazione risulta nel complesso buona e, giunti al termine, l’impressione che si prova è quella di aver appena assistito ad uno di quegli elaborati di genere tricolori (senza infamia e senza lode, attenzione) che a fine anni Ottanta ancora si realizzavano con difficoltà e caparbietà, prima di finire occultati, nel decennio successivo, dagli economicamente appaganti ma contenutisticamente poveri prodotti per il piccolo schermo di cui sopra.
La frase: "In Marocco diciamo che le tempeste dell’anima sono peggiori delle tempeste di sabbia".
Francesco Lomuscio
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