Il magico Natale di Rupert
I pochi fortunati che hanno avuto modo di vedere "Troppi guai per Wilbur", mediometraggio realizzato da Flavio Moretti all’inizio degli anni Novanta che, interpretato da Vincenzo Torelli, ottenne anche una fugace distribuzione in vhs, troveranno di sicuro alcune similitudini con questo lungometraggio d’esordio del visionario veneto classe 1962, nato proprio, guarda caso, con il titolo "Il mondo di Wilbur"
Infatti, mentre lì avevamo uno stralunato ragazzo videodipendente che, spinto dalla nonna, andava a mettere ordine in soffitta per poi scoprire di poter rendere tridimensionali i quadri, qui, su soggetto del citato Torelli, veniamo catapultati nella assurda vicenda del giovane del titolo, il quale, abitante della fantomatica Fraterna-City e con le fattezze del notevole esordiente Gianmaria Corolla, si ritrova nella stessa situazione di partenza in pieno periodo natalizio. Con la soffitta in questione che, una volta sede delle invenzioni di uno strambo anziano misteriosamente scomparso, insieme al nonno del ragazzo, mentre provavano una macchina del tempo, si rivela un vero e proprio magazzino di curiosi oggetti; da occhiali 3D capaci di rendere vivi i fumetti a una strana lampada emettitrice di segnali che finiscono per attirare distruttivi alieni nell’abitazione.
Quindi, una fantastica avventura tutta italiana che, sfruttando sia la bella colonna sonora alla Danny Elfman (alcuni temi ricordano non poco quelli di "Edward mani di forbice") di Andrea Tosi che le burtoniane scenografie di Giuseppe Garau, volutamente artificiose per ricreare con toni surreali un universo appartenente alla concreta realtà, ci trasporta in maniera affascinante in una non precisata epoca, priva di telefoni cellulari ma i cui vecchi televisori in bianco e nero, oltre a pellicole di tanti anni fa, trasmettono televendite di tappeti.
Un’epoca che mescola elementi moderni con oggetti del passato, rispecchiando il presente ma ricordando non poco gli anni Cinquanta, quando, proprio come nel film, si faceva ampio ricorso allo stratagemma della prospettiva forzata per rappresentare giganti e piccoli; qui incarnati dai dispettosi extraterrestri che sembrano quasi usciti dai lavori di Jim Henson o dalla mente del Joe Dante di "Small soldiers".
Fino al tutt’altro che scontato epilogo di circa 85 minuti tempestati di idee originali e non privi d’ironia che, ulteriormente impreziositi dalla fotografia di Pietro Sciortino e volti in maniera più o meno evidente alla rivalutazione delle forme di svago di un tempo, ci spingono perfino a riflettere su tematiche quali la guerra, l’influenza dei media e, soprattutto, la crescita.
Lasciandoci tranquillamente pensare che, se lo stivale tricolore fosse sinonimo di paese giusto e meritocratico, il Moretti che rappresenta il nostro cinema in giro per il mondo si chiamerebbe Flavio.
La frase:
"E’ veramente forte, quell’inventore era proprio un genio".
a cura di Francesco Lomuscio
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