Il lupo
Già autore di tre film dal 2000 ad oggi ("Senza paura", "L'uomo spezzato" e "E guardo il mondo da un oblò") l'ex ultrà della Lazio Stefano Calvagna porta sul grande schermo una storia ispirata alla vicenda di Luciano Liboni, "il lupo", l'assassino che nell'estate del 2004 uccise un appuntato dei carabinieri nelle Marche prima di morire a Roma in un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine nei pressi del Circo Massimo. La storia di un diseredato che non aveva nulla da perdere (queste le sue parole) che già prima dell'omicidio nel 2002 sparò tra l'altro ad un benzinaio a Perugia e ad pattuglia della guardia di Finanza oltre ad essere stato accusato autore di rapine, sequestratore di persona a scopo di estorsione e detentore di stupefacenti.
Questi almeno i fatti "veri", quelli accertati, quelli che Calvagna decide di non mostrare, o di rielaborare a suo modo, per portare avanti la tesi che Liboni sia stato una vittima.
La sua uccisione? Il perverso piano di un capo dei carabinieri che lo voleva a tutti i costi per morto (tanto che gli mette una pistola nello zainetto quando si incontrano...). La sua violenza? In parte è giustificata: ebbe il padre malato, l'abbandono delle istituzioni e un'infanzia difficile. Per non parlare del fatto che fosse malato di epilessia.
Etica e cinema dovrebbero sempre rimanere distanti in un qualsiasi discorso critico, ma quando si parla di storie vere, quando di mezzo ci sono persone morte e famiglie dietro che soffrono, rimodellare la verità a proprio comodo maldispone qualsiasi altra successiva opinione.
Sul piano realizzativo il film non funziona comunque. Sono tante le semplificazioni, se non banalizzazioni, nella sceneggiatura: carabinieri che si riuniscono come un circolo di bocciofili, pedinamenti fatti a mò di barzelletta, amici che ricordando un paio di parole dette dieci anni prima capiscono dove venirti a trovare e che, dopo averti lasciato a te stesso per tanto tempo, da un giorno all'altro ti regalano ventimila euro come se nulla fosse (Liboni fu sì trovato con addosso 30mila euro, ma erano il frutto di una rapina fatta qualche anno prima). A mancare non è solo la ricerca sul personaggio (che sicuramente sarà stata fatta bene, ma di cui si è preso solo ciò che si voleva prendere), ma anche e soprattutto quella legata ai modus operandi delle forze dell'ordine(che, a parole, sorvegliano un edificio con un elicottero, ma non si accorgono se dalla porta principale entra il sospettato). "Non riuscita" è poi la direzione degli attori, con un Montesano credibile come quando faceva i due carabinieri con Verdone e un Calvagna che prova a fare il romanaccio duro e spietato come il Piotta chiacchierava con Mastrandrea in un suo famoso video. Si salva Massimo Sonetti che fa di tutto per dare credibilità al suo maledetto personaggio. Regia che strizza l'occhio alle fiction televisive.
Chiudiamo con le parole di Calvagna: "Un film duro e scomodo. Un film verità... un malvivente che ha ucciso a sangue freddo un carabiniere e per questo rimane un delinquente, che forse però nessuno volle catturare vivo. Lascerò allo spettatore il giudizio sulla "giustizia giusta" fornendo una mia elaborazione personale sull'accaduto. Per ora "sbatto" i fatti sul grande schermo aspettando una risposta... se mai ci sarà". Bene...

La frase: "Non ti faremo nulla".

Andrea D'Addio

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