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Il crimine non va in pensione

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio07 giugno 2017Voto: 6.5
 

  • Foto dal film Il crimine non va in pensione
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“Ocean’s eleven” incontra “Villa Arzilla”.
Potremmo sintetizzare così il primo lungometraggio diretto da Fabio Fulco, il quale, attivo in qualità di attore tra grande e piccolo schermo (“Incantesimo” e “Un tè con Mussolini” nel curriculum), vi rientra anche nel manipolo di protagonisti.
Perché, superato un avvio volto a portare in scena la triste esistenza di una settantatreenne che, con le fattezze di Silvana Bosi, finisce in ospedale a causa di un malore provocato dal forte stress per aver perso tutti i propri risparmi scommettendo illegalmente, nei panni di un portantino lo troviamo ad affiancare un gruppetto di simpatici anziani intenti ad aiutare la donna, loro amica, mettendo in atto una rapina al Bingo dove trascorrono abitualmente alcune ore delle giornate.
Gruppetto comprendente sua zia, un elettricista, un elegante ottantenne gay ed ex autista di star cinematografiche, un ex stornellatore romano e latin lover per vocazione, una coppia bolognese amante del liscio e una narcolettica vispa e calcolatrice, nonché bevitrice di cognac, ovvero Rosaria D’Urso, Gianfranco D’Angelo, Salvatore Misticone, Giacomo Piperno, Ivano Marescotti, Stefania Sandrelli e la compianta Gisella Sofio, cui il film è dedicato.

Tutti perfettamente in parte e guidati da un ex generale di brigata che, interpretato da Orso Maria Guerrini, non può fare a meno di apparire quale miscuglio tra il tenente colonnello Kilgore di “Apocalypse now” e l’Hannibal Smith del telefilm “A-Team”, rappresentando soltanto uno dei tanti riferimenti cinematografici e televisivi disseminati nel corso della oltre ora e mezza di visione.
D’altra parte, se evidenti rimandi ai lavori di Quentin Tarantino (compreso un personaggio che si fa chiamare Mr White come l’Harvey Keitel de “Le iene”) risultano presenti fin dai titoli di testa, non mancano un dichiarato omaggio alla sequenza della terrazza vista nel capolavoro monicelliano “I soliti ignoti” e un certo retrogusto generale che richiama alla memoria “La banda degli onesti” di Camillo Mastrocinque.
Senza contare il momento in cui assistiamo all’ipotesi di come dovrebbe andare concretamente a concludersi il piano, in maniera simile a quanto inscenato da Brett Ratner in “Tower heist – Colpo ad alto livello” con Ben Stiller.

E, se da un lato l’infallibile Maurizio Mattioli provvede a regalare buona parte delle occasioni per ridere nel ruolo di un esilarante gestore di sfasciacarrozze grottescamente esperto in scassinature, dall’altro Franco Nero si cimenta in uno dei migliori monologhi della sua carriera in una situazione abilmente orchestrata tra ironia e retrogusto amaro.
Il retrogusto che, tra solitudine in aumento ed amicizia destinata a rivelarsi l’unica cosa che rimane all’essere umano quando diventa vecchio e solo, fa comunque capolino in più occasioni durante lo sviluppo di quella che è, in fin dei conti, una commedia a base di riscatto sociale.

Una commedia che gioca abilmente sulla napoletanità e sulla romanità per quanto riguarda la comicità posta al suo centro e che, in grado di divertire in abbondanza lo spettatore senza annoiarlo, non esce affatto inferiore dal confronto con molti heist movie d’oltreoceano.
Una inaspettata sorpresa i cui meriti, oltretutto, vanno riconosciuti anche alla sceneggiatura a firma di Fabrizio Quadroli, non distante dalle migliori scritte da Carlo ed Enrico Vanzina.


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