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Il bosco fuori
Il titolo anglofono è "Last house in the woods", chiaramente in omaggio a "L'ultima casa a sinistra" (1972) di Wes Craven, ma il lungometraggio d'esordio di Gabriele Albanesi, fattosi notare presso vari festival con gli short "Braccati" (2001), "L'armadio" (2002) e "Mummie" (2003), nel corso della sua prima parte sfoggia una malata atmosfera in realtà molto più vicina a quella del deodatiano "La casa sperduta nel parco" (1980), tanto che a mancare non sono situazioni di violenza a sfondo sessuale.
Andando, però, per ordine, prima abbiamo un movimentato prologo che vede protagonisti Elisabetta Rocchetti ("Il ritorno del Monnezza") ed Enrico Silvestrin ("Ricordati di me"), poi entrano in scena i giovani Aurora e Rino, rispettivamente interpretati dagli esordienti Daniela Virgilio e Daniele Grassetti, fidanzati in crisi che, aggrediti da tre malviventi lungo una strada isolata, vengono tratti in salvo da una coppia che si offre di ospitarli nella propria casa nel bosco.
Da qua in poi, tra momenti alla "Non aprite quella porta" (1974) ed energumeni che non avrebbero certo sfigurato all'interno della famiglia di dementi de "Le colline hanno gli occhi" (1977), emerge progressivamente tutto il background cine-culturale del giovane autore romano, mentre qualcosa ci spinge anche a ripensare a Dario Argento ed al dimenticato trash-cult "Quella villa in fondo al parco" (1988) di Giuliano Carnimeo.
Tanto che ad un certo punto la trama non c'interessa più di tanto, catapultati in un delirio splatter tempestato di cannibalismo, sangue e liquidi vari che schizzano, grazie soprattutto agli ottimi effetti speciali di trucco ad opera del mai disprezzabile Sergio Stivaletti, impegnato anche in fase produttiva, al fianco dei Manetti Bros e della Nerofilm dell'intraprendente Gregory J. Rossi.
Un delirio splatter girato in HDV che, con soli 45000 euro di budget e non privo di un pizzico d'indispensabile ironia, tenta coraggiosamente di riportare all'interno della cinematografia tricolore una estrema tipologia di spettacolo accantonata ormai da troppi anni, senza camuffarsi furbescamente dietro intellettualismi snob, ma puntando in maniera diretta al genere nudo e crudo.
Quindi, si può tranquillamente sorvolare su una certa amatorialità che traspare da una fotografia non esente da difetti e dalla non sempre convincente prova del cast, abbandonati dinanzi all'ultima mezz'ora di visione che, oltre a riservare la parte più riuscita del film, approda ad un epilogo che centra perfino il non facile obiettivo di apparire toccante, splendidamente commentato dalle note di Silvio Villa.
La frase: "Cosa puoi capire tu che sei solo una ragazzina viziata? Puoi capire l'amore di un genitore per il proprio figlio?"
Francesco Lomuscio
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