Il bambino con il pigiama a righe
Dall’inglese Mark Herman, regista di commedie del calibro di "Tutta colpa del fattorino" (1992) e "Grazie, signora Thatcher" (1996), mai ci saremmo aspettati la trasposizione su celluloide de "Il bambino con il pigiama a righe", premiato romanzo scritto dall’irlandese John Boyne che, ambientato negli Anni Quaranta, tenta di ribadire in maniera tutt’altro che allegra quanto un valore come l’amicizia possa unire ciò che le barriere dividono.
Con le fattezze dell’ottimo Asa Butterfield ("Son of Rambow"), ne è infatti protagonista il bambino di otto anni Bruno, figlio di un ufficiale nazista da poco trasferitosi con la famiglia in una casa di campagna fuori Berlino, il quale fa conoscenza con il coetaneo ebreo Shmuel, interpretato dall’esordiente su grande schermo Jack Scanlon, perennemente in pigiama a righe e confinato al di là di un recinto in filo spinato la cui utilità non è neppure minimamente immaginata dal ragazzo tedesco.
Quindi, accompagnata dalle fondamentali musiche del premio Oscar James Horner ("Titanic"), una favola (molto nera) che cerca di offrire una prospettiva unica sugli effetti del pregiudizio e della violenza nei confronti degli innocenti, apparendo quasi come una versione seriosa de "La vita è bella" (1997) di Roberto Benigni, soprattutto se teniamo in considerazione il fatto che tutto viene raccontato attraverso la visione di Bruno, talmente ingenua da spingerlo a pensare che il numeretto inciso sulla maglietta occorra a Shmuel per partecipare ad un gioco con gli altri amici all’interno della rete.
Mentre la bella fotografia del francese Benoît Delhomme ("Ognuno cerca il suo gatto") contribuisce ad arricchire di ombre i volti dei lodevoli componenti del cast, tra i quali troviamo Vera Farmiga ("The diparted-Il bene e il male") e David Thewlis ("Harry Potter e l’Ordine della fenice") nei panni dei genitori del protagonista, oltre al promettente Rupert Friend ("Orgoglio e pregiudizio") in quelli del tenente Kotler.
Fino ad una parte finale che, grazie in particolar modo al montaggio del veterano Michael Ellis ("La croce di ferro"), risulta talmente tesa e coinvolgente da non sfigurare affatto dinanzi al miglior prodotto horror, portando l’opera di Herman direttamente nel cuore del commosso spettatore, spinto non solo a riflettere sulle barbarie dell’Olocausto, ma anche e soprattutto su come l’innocenza infantile finisca spesso per essere vittima della furia incosciente (???) di quelli che dovrebbero essere i maturi adulti intelligenti.

La frase:
- "Te lo avevo detto che sono strani"
- "Chi?"
- "I contadini no, vanno in giro in pigiama"

Francesco Lomuscio

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