I bambini di Cold Rock
Notte fonda a Cold Rock. Un'insolita Jessica Biel, credibile come infermiera spettinata e struccata, scopre con orrore la babysitter imbavagliata sul pavimento della cucina: la camera dei bambini, al piano di sopra, è deserta. Segue brevissimo istante di shock e poi partenza all'inseguimento del rapitore incappucciato... Dopodiché il sanissimo horror che la locandina prometteva veleggia verso tutt'altri lidi. Perché, forse, il primo esperimento americano di Pascal Laugier vuol essere una grottesca fiaba rassicurante. Dal trailer non sembra, direte voi, ma dev'essere senz'altro così: in un certo senso, a patto di abbandonarvisi a mente sgombra, riesce ad appagare le coscienze e sedare la paura più fonda. Quella di perder traccia, un domani, del nostro patrimonio genetico altro, il dna procreato, libero di aggirarsi per il mondo come meglio crede. I figli non sono nostri, signora mia. Letteralmente. E via così.
Eppure il film diretto da Laugier (ma sì, è il genio pazzoide a cui dobbiamo Martyrs) è anche altro. In nuce è forse, e su questo potranno esservi infiniti dibattiti, un insulto mirato. Oltre al danno, la beffa: non possiamo svelarvi perché – il rischio spoiler è altissimo – ma sappiamo che, genitori o meno, allo scorrere dei titoli di coda vi sentirete confusi, basiti, magari addirittura un po' truffati.
Lasciamo però da parte i moralismi e le etichette, ché non è questa la sede per affrontarne: da un punto di vista meramente tecnico, il film ha un gigantesco problema di ritmo. Confezionandosi sin dalle prime note (è il caso di dirlo, a giudicare dalla colonna sonora) come un horror senza sfumature che non siano nerissime, quando poi, a metà film, vira bruscamente verso un ibrido drama, I bambini di Cold Rock prende rapidamente a soffrire nell'impianto: sia a causa dell'andatura, improvvisamente più lenta, sia a causa delle aspettative del pubblico, dapprima clamorosamente sovvertite, poi disattese e in parte anche frustrate dalla pessima gestione delle svolte. Non che indurre la sorpresa nello spettatore non sia un fenomeno da augurarsi, anzi: né che, a tradirne le aspettative, non si corra il rischio di produrre qualcosa di degno. Ma la questione, qui, è altra. Ogni singolo "scossone" narrativo è inflitto con tempismo discutibile o smorzato nell'effetto, diluito, male accordato al resto. E confonde, addirittura.
Forse The tall man, questo il titolo originale, innescherà controversie e dividerà coscienze; forse gli dedicheranno spazio tv e tavole rotonde, chiedendosi dove sia il buonsenso nell'inscenare un ribaltamento di ruoli ai margini del pessimo gusto. Forse no. A noi che, invece, scegliamo di prendere le distanze sia da eventuali polemiche sia, però, dal pistolotto della Biel sopraggiunto oltre la metà del film, resta solo la vaga sensazione d'aver avuto davanti del materiale curioso e un'ottima idea. Sprecati entrambi.
La frase:
"Il sistema è rotto".
a cura di Domitilla Pirro
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