Star System - Se non ci sei non esisti
Difficile per qualcuno che "quel mondo" lo conosce proprio da "quella" prospettiva, parlare di un film che prende in giro la sua stessa professione. Parliamo dell’ambiente cinema e del "lavoro" di giornalista di spettacolo, il "mestiere" del protagonista di "Star system: se non ci sei non esisti". Fatte le dovute premesse, e promesso che d’ora in avanti non si utilizzeranno più le virgolette nel resto della recensione se non per introdurre il titolo di un film o un discorso diretto (bisogna farsene una ragione: sì, esistono persone che guadagnano intervistando star, andando al cinema e scrivendo di futilità varie), possiamo iniziare a parlare della commedia ispirata all’omonimo libro autobiografico di Toby Young.

Il titolo originale sarebbe, tradotto, "Come perdere amici e alienare gente", e questo perché il protagonista della storia è un uomo incapace di stare al mondo, lontano da qualsiasi insegnamento di bon ton, troppo ingenuamente diretto e irritante per adattarsi all’ipocrita e luccicante star system, un Clouseau ancor più pieno di ego e altrettanto maldestro. Uno da cui si sta alla larga insomma, ma anche, e soprattutto, un bel personaggio comico in cui Simon Pegg (per la prima volta protagonista senza il fidato amico regista Edgar Wright con cui aveva realizzato due cult come "L’alba dei morti dementi" e "Hot fuzz") si cala alla perfezione. Tante le risate fatte di comicità fisica, equivoci, paradossi (e battute volgari, poche ma ci sono).
Il canovaccio è più che mai banale, sia l’aspetto professionale che quello sentimentale seguono i classici binari dell’happy ending su tutta la linea (ma con crisi che sembrano compromettere tutto a tre quarti dalla fine), ma l’idea di legare il film, con una serie di rimandi più o meno espliciti, a "La dolce vita" è un bell’occhiolino rivolto al cinefilo di turno. Anche qui, dopotutto, abbiamo un giornalista che, a contatto con il sempre anelato dorato mondo dello spettacolo, ci si ingozza fino a pentirsene. Allo stesso modo sono simpatici, e ben celati, i rimandi a "Il grande Lebowski". Non solo nel cast appare Jeff Bridges (a cui scappa anche un "I’m not the Dude"), ma lo stesso protagonista ricorda un poco la personalità (tutto sembra scivolargli addosso come se non stesse accadendo realmente) del celebre personaggio inventato dai Coen.
Il risultato di tutto è un film gradevole, stupidotto, ma comunque simpatico, volutamente meno impegnato di quanto gli autori lasciano percepire essere capaci di fare se solo volessero. E’ chiaro che non è realmente così la vita di chi scrive di star e starlette, va alle feste e si ingozza ai buffet, ma l’approccio al racconto è tanto demenziale, quanto non offensivo.
Ps per i curiosi che masticano un po’ di inglese: fatevi qualche ricerca su google a proposito di Toby Young. Cercare di capire come un tipo come lui sia arrivato a scrivere per il Times e Vanity fair, vale qualche minuto di lettura.

La frase: "Tu pensavi che Brad Pitt fosse una caverna nello Yorkshire!".

Andrea D'Addio

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