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Ho ucciso Napoleone











Anita (Micaela Ramazzotti) è una giovane single in carriera che ha sacrificato interamente la sfera affettiva sull'altare del successo professionale.
Inflessibile manager in un'azienda che sta per distribuire sul mercato un miracoloso prodotto per il dimagrimento chiamato Slim Slam, la donna scopre di essere incinta lo stesso giorno in cui ottiene la promozione per cui ha tanto lavorato e, da quel momento in poi, tutto il suo mondo va in pezzi.
Intanto perché il figlio è di Paride (Adriano Giannini) che, oltre ad essere un suo superiore, è anche sposato.
Come se non bastasse, di punto in bianco, si ritrova anche senza lavoro.
E' la goccia che fa traboccare il vaso.
Indecisa tra l'ipotesi di una causa di lavoro e la possibilità di un'interruzione di gravidanza, Anita opta per una forma di vendetta più lenta e, con il solo aiuto del timido travet Biagio (Libero De Rienzo), escogita un piano per rovinare la vita di Paride.
Giorgia Farina, già autrice del gradevole Amiche da morire di un paio di anni fa, prova a sparigliare le carte di un buonismo che troppo spesso appare come la vera conditio sine qua non di quasi tutte le commedie italiane di ultima generazione.
Lo fa con uno script assai ritmato che abbandona quasi da subito qualunque pretesa di aderenza al reale per puntare invece più sulla ricerca di un paradosso che se, da un lato, attenua il naturale processo di immedesimazione con i personaggi, dall'altro però garantisce non poche risate.
Ecco, il primo vero merito di Ho ucciso Napoleone è proprio quello di far ridere, e in anni di sorrisi a denti stretti - spesso strettissimi - e di un Raoul Bova piazzato praticamente ovunque (anche nei panni molto poco verosimili di un contadino pugliese nel recente Sei mai stata sulla luna?) non è affatto poco.
Nulla di trascendentale, per carità, ma la sottile patina di scorrettezza che percorre il film lungo tutta la sua durata suggerisce che qualcosa, seppure molto lentamente, sembri muoversi nello statico panorama del cinema leggero nostrano.
Sono diverse le intuizioni felici della Farina, a partire dalla scelta di Micaela Ramazzotti per un ruolo piuttosto lontano da quelli di ragazza semplice e di cuore in cui, negli ultimi anni, ha seriamente rischiato di restare ingabbiata e che l'attrice affronta con insospettata misura e garbo.
Immediatamente dietro di lei un cast eterogeneo che, a partire dalla piacevole riscoperta della vis comica di Iaia Forte, arriva fino all'eccellenza rappresentata dalla prova di Libero De Rienzo, l'attore forse più talentuoso e sottoutilizzato del cinema italiano, anch'egli alle prese con un personaggio apparentemente poco vicino alle sue corde abituali.
Almeno fino a metà film.
Sì perché più o meno a metà film tutto smette di essere quello che sembrava.
Senza rivelare nulla che possa compromettere il piacere della scoperta, basti dire che uno dei punti di forza di Ho ucciso Napoleone è proprio in un sorprendente twist che, di fatto, divide il film in due e porta lo spettatore a riconsiderare quanto visto fino ad allora in un'ottica alternativa.
Se colpi di scena del genere rappresentano meccanismi tutto sommato usuali in certo cinema americano, di sicuro sono escamotage narrativi bazzicati di rado in Italia oppure utilizzati con risultati poco lusinghieri e, per amore di verità, va detto che anche qui il gioco riesce fino a un certo punto e non tutto scorre proprio alla perfezione.
La cesura di senso operata dal film, infatti, per quanto lavori bene in termini di stupore suscitato, appare comunque un po' forzata e poco credibile e, quando il film abbandona per un attimo i lidi della commedia per virare verso una sorta di thriller, appare chiaro come la pur volenterosa Giorgia Farina non sia (ancora) perfettamente in grado di maneggiare generi differenti.
Ma sono difetti che si perdonano volentieri a un'autrice giovane che, senza pretendere di innovare o dire nulla di particolarmente nuovo, prova a infondere freschezza e, perché no, anche un po' di sana cattiveria in un genere - la commedia - ultimamente oltremodo fiaccato dalle insidiose trappole del mestiere e dalla maniera.
Sono in pochi a volerlo o a saperlo fare, forse giusto Sidney Sibilia e il trio Vendruscolo-Torre-Ciarrapico, ma è bello che ci siano.
Curioso semmai che tutti i nomi citati siano accomunati da una capacità rara di descrivere certe dinamiche sociali (in Ho ucciso Napoleone, ad esempio, la riflessione sul nucleo familiare è centrale, così come il mercato del lavoro lo era in Smetto quando voglio) senza l'ansia di salire in cattedra e spiegare alcunché, quasi come fosse un effetto del tutto secondario rispetto a uno scopo principale che resta, come è giusto che sia, quello di divertire.

La frase:
"Tutte le volte che esco con un uomo penso se è lui il padre con cui voglio che i miei figli trascorrano due weekend al mese".

a cura di Fabio Giusti

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