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Hellboy

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio09 aprile 2019Voto: 6.5
 

  • Foto dal film Hellboy
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È alto, imponente, dalla pelle rossa e caratterizzato da corna mozzate e coda.
Supereroe della casa editrice Dark Horse nato nel 1993 dalla mente di Mike Mignola, il demoniaco Hellboy torna sul grande schermo dopo il lungometraggio omonimo diretto nel 2004 da Guillermo del Toro e il suo sequel “Hellboy: The Golden army”, firmato quattro anni più tardi dallo stesso.
Due cinecomic sufficientemente divertenti che videro nel ruolo di protagonista Ron Perlman, sostituito dal David Harbour della serie televisiva “Stranger things” in questo nuovo tassello che non intende fare da terzo capitolo alla saga, bensì essere un vero e proprio reboot atto a far luce sulle origini del leggendario detective del BPRD (Bureau for Paranormal Research and Defense), il cui compito è proteggere la Terra dalle creature soprannaturali.

Reboot che attinge, tra l’altro, dall’antologia “Hellboy, volume 9: La caccia selvaggia” – comprendente i numeri 37 e 44 del fumetto – e “Hellboy in Messico” per calare colui che conosciamo anche come Anung Un Rama nella Londra contemporanea, dove non solo deve affrontare tre giganti infuriati, ma è costretto a vedersela con l’antica strega Nimue, la Regina di sangue, resuscitata dal passato e assetata di vendetta contro l’umanità.
Strega incarnata da Milla Jovovich nel corso di due ore di visione che, con inclusi nel cast Ian McShane, Daniel Dae Kim e Sasha Lane rispettivamente nei panni del professor Broom, dell’agente BPRD Ben Daimio e dell’intermediaria Alice Monaghan, lasciano avvertire una indispensabile venatura ironica fin dalla voce narrante che ne accompagna il prologo, girato in bianco e nero ma con liquido rosso vivo schizzante.
Perché a far distaccare questa terza trasposizione hellboyana dalle precedenti è in particolar modo la inaspettata dose di esagerata violenza grafica, di certo alleggerita dal fatto che il tutto sia principalmente rappresentato ricorrendo all’effettistica digitale ma che, in ogni caso, non manca di sguazzare in mezzo ad arti mozzati e frattaglie sparse.

Del resto, dietro la macchina da presa abbiamo il Neil Marshall che, tra un “Dog soldiers” e un “The descent – Discesa nelle tenebre”, si è giustamente guadagnato nel primo decennio del XXI secolo la classificazione di maestro del cinema horror britannico.
Il Neil Marshall il cui tocco è intuibile anche dal look delle mostruosità tirate in ballo, molto poco distanti da quelle portate in scena da Sam Raimi all’interno della sua trilogia “Evil dead” (in Italia “La casa”) e che includono, inoltre, la Baba Yaga destinata a regalarci un piuttosto disgustoso bacio.

Senza contare la spettacolare distruzione della città, che appare in maniera evidente in qualità di rivisitazione splatter di una delle tante situazioni proposte nei kaiju eiga (film di mostri giapponesi); riconfermando lo spirito exploitation da b-movie che, se da un lato sembra conferire, a tratti, l’impressione di trovarsi dinanzi ad un concerto heavy metal, dall’altro lascia ulteriormente emergere il piacevole sapore quasi trash di una fanta-operazione scandita da un buon ritmo e che possiede soprattutto il gran merito di non scimmiottare banalmente l’operato di del Toro... fino alle ultime due sorprese poste durante e dopo i titoli di coda.


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