The Housemaid
Giovane, timida e ingenua, Eun-y viene assunta come domestica da una ricchissima famiglia. Una casa immensa e gelida nella sua perfezione, abitata da una coppia svogliata, lui un ex compositore, lei un’opaca bellezza incinta, con una figlioletta. Un lavoro impegnativo per la ragazza, che comporta anche la cura della figlia della coppia, con cui instaura un forte legame. Eun-y non ha però lo spirito della vigorosa e più anziana governante, Byung-sik, che da anni si occupa della famiglia, in una condivisione silenziosa di ossessioni, manie e segreti. Ma proprio la sua naïveté, unita all’apparente serenità dei modi, sono il miglior biglietto da visita. Non passa molto tempo che Hoon, il giovane capofamiglia, decide di approfittarsi della ragazza, che instaura con lui una relazione. Quando però Eun-y resta incinta, le donne della casa (moglie, madre e governante) si coalizzano e le procurano un aborto, mentre Hoon è del tutto assente e ormai incurante. Eun-y ha solo uno scopo: vendicarsi e distruggere la famiglia.

Remake attualizzato dell’omonimo thriller del 1960 del sud coreano Kim Ki-young, diretto questa volta da Im Sang-soo, il regista, tra gli altri, di The Old Garden, The Housemaid parte bene e si annacqua nel suo percorso, fino al trash finale.
Il perturbante, l’elemento capace di sconvolgere un ordine fittizio (l’arrivo nella casa della domestica) - la “bomba metaforica”, che scoppia mentre in un salotto si gioca tranquillamente a poker, come racconta il regista - funziona solo nella prima parte del film. Un’introduzione funzionale, sontuosa e patinata in cui i personaggi vengono mostrati (non indagati però), così come la casa, algida teoria di ambienti senza segno di vera vita tranne lo sguardo curioso della figlia della coppia, ricambiato da quello altrettanto infantile della giovane donna. Un incipit che pare voler mettere il dito nella piaga del lavoro subordinato, del rapporto servo-padrone, pur attraverso simboli di potere stereotipati.
Il gelo e l’inquietudine, l’ambiguità degli ammiccamenti tra Eun-y e il capofamiglia si dissolvono nel più prevedibile degli svolgimenti, in un erotismo slavato, in un esplicitarsi dozzinale, di modi e frasi, che cancella ogni fantasia. E il tema della vendetta, prima delle donne di casa contro l’intrusa e poi della vittima contro l’intero sistema, arriva quando tutto si è già ridotto a déjà vu. Da segnalare l’interpretazione della protagonista, Jeon Do-yeon, miglior attrice a Cannes 2007 per Secret Sunshine. Davvero luminosa.

La frase: "So che non hai mai pensato a me come a un essere umano".

Donata Ferrario

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