Halloween - The beginning
Cimentarsi con il rifacimento di “Halloween-La notte delle streghe”, diretto nel 1978 dal maestro della paura John Carpenter prendendo ispirazione da “Psycho” (1960) di Alfred Hitchcock, “La cosa da un altro mondo” (1951) dell’accoppiata Christian Niby-Howard Hawks ed i primi film di Dario Argento, è sicuramente un’impresa folle che solo all’eclettico Rob Zombie (al secolo Robert Bartleh Cummings) poteva venire in mente, dopo i riusciti “La casa dei mille corpi” (2003) e “La casa del diavolo” (2005).
E’ un’impresa folle perché la vicenda dell’invulnerabile serial killer mascherato Michael Myers, evaso dal manicomio quindici anni dopo l’omicidio della sorella, compiuto in tenera età, per dedicarsi allo sfoltimento della popolazione di Haddonfield durante la notte che dà il titolo al film, non solo rappresenta la più alta vetta artistica raggiunta dal regista di “1997: Fuga da New York” (1981), ma, generatrice di sette sequel e di un’infinità d’imitazioni a partire da “Venerdì 13” (1980), è stata non poche volte classificata come miglior pellicola horror della storia del cinema. In realtà, però, questo nuovo “Halloween”, che si propone contemporaneamente come prequel e remake del titolo del 1978, sembra attingere anche dal quarto e dal quinto capitolo della serie, tanto da riprenderne l’ormai cresciuta interprete Danielle Harris (“Daylight-Trappola nel tunnel”), qui nei panni di Annie Brackett, amica della protagonista Scout Taylor-Compton (“Zombies-La vendetta degli innocenti”) che sostituisce invece l’originale Jamie Lee Curtis.
Soltanto due dei nomi che vanno ad arricchire un golosissimo cast costituito da volti noti del cinema di genere, da Richard Lynch (“Invasion USA”) a Brad Dourif (“Bambola assassina”), passando per Udo Kier (“Suspiria”), Danny Trejo (“Dal tramonto all’alba”) e Ken Foree (“Zombi”), ma senza dimenticare neppure Tom Towles (“Henry-Pioggia di sangue”) e Clint Howard (“I gusti del terrore”), fratello del famoso regista Ron.
Per non parlare di Malcolm McDowell (“Arancia meccanica”), impegnato a non far rimpiangere lo scomparso Donald Pleasence nelle vesti del mitico dottor Samuel Loomis, all’interno di oltre 100 minuti di visione che, considerando la notevole presenza di affilati coltelli, possiamo tranquillamente associare ad una vera e propria arma a doppio taglio finita tra le mani del regista.
Infatti, dal punto di vista del prodotto seriale, i retroscena che hanno contribuito alla trasformazione del piccolo Michael, figlio di una spogliarellista convivente con il violento compagno, in un feroce assassino, risultano sicuramente interessanti, ma proprio tutti questi dettagli finiscono per eliminare quel senso di mistero ed inquietudine che aveva caratterizzato il capostipite e, in generale, la figura del “mostro” mascherato, tanto da renderlo più umano ai nostri occhi, privandolo in buona parte della sua affascinante natura soprannaturale.
Del resto, come già accennato, è principalmente di un antefatto di celluloide che stiamo parlando, quindi a nulla sarebbe servito realizzare una fedele copia del film di Carpenter o l’ennesimo, banale sequel.
L’impressione generale, però, è quella di assistere ad un elaborato che concede troppo spazio alla storia dei Myers (la parte più riuscita dell’insieme, tra l’altro), rilegando il remake vero e proprio a pochi minuti di visione tirati via in fretta e che si ricordano per lo più a causa dei neanche troppo fantasiosi momenti di omicidio, impreziositi da ottimi effetti splatter e, soprattutto, da un’incredibilmente realistica resa della violenza.
Un elaborato che con ogni probabilità dividerà sia i fan che gli spettatori ordinari, ma che, forte anche delle caratterizzazioni di Daeg Faerch (“Freakshow”) e Tyler Mane (“X-Men”) dentro e fuori la bianca maschera, rimane al di sopra della media, tanto da continuare a farci annoverare Zombie tra le migliori nuove leve del cinema horror.

La frase: "Michael è male puro".

Francesco Lomuscio

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