Ghost son
Era dai tempi del poco celebrato "Body puzzle" (1991) che Lamberto Bava, figlio del compianto maestro della paura Mario, non si dedicava ad una pellicola di genere horror.
Ed ora, a millennio appena iniziato, ce lo ritroviamo sia sugli scaffali delle videoteche con il truculento "The torturer" (2005), concepito a bassissimo costo appositamente per il mercato dell'home video, che sul grande schermo con questo "Ghost son", co-produzione tra Italia, Sud Africa, Spagna e Gran Bretagna interpretata da uno stuolo di volti noti di Hollywood, cui si affianca anche la Coralina Castaldi-Tassoni che, per il regista, fu già protagonista dell'ottimo "Demoni 2…L'incubo ritorna" (1986).
Già, perché, all'interno di una fattoria persa nella savana africana, è la bella Laura Harring del lynchano "Mulholland drive" (2001) a vestire i panni di Stacey, che, in seguito alla morte del suo grande amore Mark, interpretato dal John Hannah di "Sliding doors" (1998), si trova in preda a visioni che lo vedono protagonista; finché, scopertasi inaspettatamente incinta, non dà alla luce un bambino che potrebbe essere il frutto proprio di un incontro d'amore consumato con il fantasma dell'uomo.
E' quindi il sempre avvincente concetto del potere del sentimento capace di superare le barriere della morte a fare da fulcro all'ultima fatica di Bava jr, il quale, a detta sua ispiratosi a "Ghost-Fantasma" (1990) di Jerry Zucker e "Shock" (1977) del succitato papà Mario, sembra in realtà rifarsi proprio ad una sua opera precedente: il televisivo "Per sempre" (1987), sorta di rilettura in chiave horror de "Il postino suona sempre due volte" in cui era però un bambino a trovarsi in preda a continue visioni riguardanti il padre ritornante dall'aldilà, ucciso dalla moglie con la complicità del suo amante.
Ciò, però, poco c'interessa, in quanto, sorvolando sui rari momenti di comicità involontaria (su tutti il rigetto del bimbo alla "Bastardo dentro"), il prodotto in questione, nel cui cast troviamo anche il Pete Postlethwaite di "Nel nome del padre" (1993), non si presenta affatto male, caratterizzato da una regia che risulta nella media se paragonata all'infinità di costosi elaborati d'oltreoceano, ma decisamente lodevole se pensiamo che il lungometraggio appartiene al paese che, dopo i gloriosi Anni Sessanta e Settanta, ha finito per identificare la paura su celluloide esclusivamente nei recenti, discutibili lavori di Dario Argento ed in soporiferi trip pseudo-intellettuali di giovani filmmaker che qualcuno ha avuto la sfrontatezza di definire (abusivamente) nuovi talenti dell'orrore tricolore (Alex Infascelli, tanto per citarne uno).
E la riuscita dell'operazione, che non manca di spaventi improvvisi e sequenze decisamente affascinanti (Stacey che vede sé stessa, sdraiata sul letto con Mark), la dobbiamo in buona parte sia alla bella colonna sonora di vecchio stampo firmata da Paolo Vivaldi ("Salvatore-Questa è la vita"), che alla fotografia del mai disprezzabile Tani Canevari ("Manuale d'amore"); elementi fondamentali al fine di conferire la giusta, cupa atmosfera ad uno script che, concepito dallo stesso Bava con la collaborazione di Silvia Ranfagni ("Il mio miglior nemico"), riesce nell'impresa di risultare altamente coinvolgente nonostante si costruisca quasi esclusivamente sui dialoghi e su lenti ritmi di narrazione.
Con il rischio di deludere gli abituali fan del blood'n'gore, ma al solo fine di ricordare, attraverso il genere, quali grossi sacrifici sia disposta ad affrontare una madre per l'amore del proprio figlio.
D'altra parte, l'amore, come la paura, è un sentimento.
Bentornato Lamberto!

La frase: "In ogni pietra, in ogni insetto, in ogni ramo di albero c'è una presenza".

Francesco Lomuscio

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