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Ghost in the Shell

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Rosanna Donato28 marzo 2017Voto: 8.0
 

  • Foto dal film Ghost in the Shell
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In un mondo dove la differenza tra umani e robot è quasi impercettibile, tra le varie figure troviamo Major (il Maggiore). Quest’ultima è un agente speciale, un ibrido tra cyborg e umano unico nel suo genere, e guida la task force speciale Section 9. Incaricata di fermare i più pericolosi criminali ed estremisti, la Section 9 dovrà confrontarsi con un nemico il cui obiettivo singolare è quello di annientare i progressi nel campo della cyber technology della Hanka Robotic.
Diretto da Rupert Sanders e interpretato fra i tanti da Scarlett Johansson, Takeshi Kitano, Juliette Binoche e Michael Pitt, “Ghost in the Shell” ha in sé molti elementi innovativi a livello tecnico/stilistico, ma non dal punto di vista della narrazione.

Il progetto di Rupert Sanders sembra volersi presentare come un omaggio al manga originale e alle più recenti trasposizioni cinematografiche “Ghost in the Shell” del 1995 e “Ghost in the Shell 2: Innocence”.
La pellicola, infatti, attinge elementi da entrambi i film citati, permettendo al pubblico presente in sala di entrare in quel vortice di ricordi che la memoria non potrà far altro che far emergere in esso. Questo, ovviamente, se si conoscono tutti i vari lavori legati al manga originale. Lo spettatore si renderà conto, infatti, che la sceneggiatura non contiene grandi sorprese.
Per chi invece non conosce “Ghost in the Shell” in tutte le sue forme, è bene dire che ne potrebbe restarne sorpreso, a partire dall’interpretazione degli attori coinvolti.
Partiamo subito con il parlare di Scarlett Johansson, un’attrice che ha spesso vestito i panni di un personaggio di fantascienza, il più delle volte incapace di trasmettere empatia (un alieno, un cyborg, ecc). Sarà che l’attrice non è molto espressiva e questo le permette di risultare più credibile in ruoli dove l’espressività non è fondamentale piuttosto che nelle commedie.
Molto brava Juliette Binoche, anche lei poco empatica, ma con qualche riserva. Entrambe le attrici sono riuscite a dare il giusto peso al loro personaggio e a regalare momenti ricchi di intensità.

Qui arriviamo alla sorpresa più grande presente nel film: finalmente comprendiamo cosa sia realmente il Ghost. È vero che nella traduzione originale il termine significa fantasma, ma nel film assume una valenza simbolica e porta lo spettatore a chiedersi se un ibrido possa davvero avere una coscienza e un’anima propria. Seguendo la narrazione e il cambio di atteggiamento della protagonista, è chiaro che il personaggio del Maggiore qualcosa di umano ce l’ha e non è solo il cervello.
In “Ghost in the Shell” viene affrontato anche il tema della ricerca della propria identità e l’importanza di avere ricordi che ti possano aiutare a capire chi tu realmente sia. Un ruolo importante è da attribuire anche al buon uso degli effetti speciali (è palese la costruzione digitale di alcune scene del film) ed è per questo che consigliamo la visione della pellicola in modalità 3D (meglio se visto a una distanza consona perché l’intenso gioco di luci e colori, che riveste l’intera città e che a noi è piaciuto molto, potrebbe dare fastidio agli occhi dopo un po’ di tempo).

Colonna sonora accattivante e molto coinvolgente contribuiscono alla riuscita del progetto che gode di dialoghi semplici e brevi, ma diretti e spesso incisivi. Molti sono gli spunti su cui riflettere nel corso della narrazione, il cui ritmo è altalenante. Infatti, si passa da scene di pura azione a momenti in cui avviene poco e nulla.
Sono proprio queste ultime a rendere la pellicola più pesante di quanto in realtà sia. A colpire l’occhio, inoltre, è la scena iniziale in cui ci viene mostrata la costruzione di quello che poi diventerà il corpo del Maggiore.


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