Gabrielle
Sono sposati da dieci anni e tutto sembra andare per il meglio. Una buona situazione economica, i Giovedì dedicati alla vita sociale con il rituale invito in casa propria, il resto dei giorni vissuti tranquillamente tra le mura domestiche. O almeno così la pensa Jean ( Pascal Gregory) quando ad inizio film ci introduce nella sua storia. La routine è invece interrotta quando Gabrielle (Isabelle Huooert), sua moglie, gli lascia una lettera di abbandono sulla scrivania dello studio. In poche righe gli dice che "basta, è finita" e che se ne è andata per sempre. Perché questa fuga? Ma soprattutto, perché dopo qualche ora Lei ritorna dicendo di essere disposta a rimanere anche se non lo ama più? Cosa è successo, chi ha visto in questo lasso di tempo?
Basato sulla breve novella "Il ritorno" di Joseph Conrad, il nuovo film del francese Patrice Chéreau ( già Orso d'oro al Festival di Berlino con "Intimacy") è un thriller dei sentimenti dove l'indagine è volta allo scoprire quando, come e perché si cessa di amare. Gabrielle è così una dama triste e provocatrice capace di innescare col marito un gioco perverso e ricattatorio pur di capovolgerne i ruoli, e far immedesimare lui in lei.
Un film di chiara matrice teatrale, girato quasi interamente in interno. Nella casa della coppia si addensano, a poco a poco, tutta l'angoscia e la delusione dei protagonisti. Per evidenziarne la solitudine, Chéreau decide per l'utilizzo del bianco e nero quando Jean è vittima dei propri pensieri e invece di comunicare con gli altri si limita ad imporli. Così accade nel lungo prologo quando con la voce fuori campo ci descrive la sua situazione, così continua ad essere quando cerca di imporre alla moglie un rapporto sessuale che lei non vuole.
Le parole in sovrimpressione che in alcuni momenti bloccano le immagini (come per i fumetti) servono per calcare di più alcuni passaggi narrativi e sono un espediente utilizzato dal regista per cercare di rendere più cinematografica una storia che nelle immagini non trova un grande, ulteriore apporto a quanto già non fosse visibile a teatro o immaginabile dal testo di Conrad. Il rischio di annoiarsi, durante la visione, è dietro l'angolo.
Bravissimi gli attori (chissà che non ci scappi una Coppa Volpi qui al Festival di Venezia dove il film è in concorso) con una Huppert sensuale ed erotica che a cinquantadue anni non si fa giustamente scrupoli a mostrarsi senza veli.
La frase: "Restate!".
Andrea D'Addio
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