Frankenweenie
Originariamente, Tim Burton ne concepì l’idea immaginandolo come un lungometraggio in stop-motion, ma, a causa dei limiti imposti dal budget, nel 1984 ne fece un corto live-action per Disney, interpretato dalla Shelley Duvall di "Shining" (1980), dal Barret Oliver de "La storia infinita" (1984) e, addirittura, da una giovanissima Sofia Coppola.
Soltanto ventotto anni dopo, "Frankenweenie" si è potuto trasformare nel cartoon in stop-motion che, basato sull’idea di un ragazzo che diventa grande e sulla passione dell’autore de "La sposa cadavere" (2005) per l’horror, vede il giovane Victor costretto a sfruttare il potere della scienza al fine di riportare in vita l’adorato cane Sparky, improvvisamente venuto a mancare.
Però, sebbene il soggetto di base rimandi fin dal titolo alla storia di Frankenstein, i circa ottantasette minuti di visione, girati in bianco e nero, non solo aprono con un evidente omaggio a "Rodan il mostro alato" (1956) di Ishiro Honda, ma trovano anche il tempo di tirare in ballo una gigantesca creatura che appare quasi quale ibrido tra il drago radioattivo Godzilla e la tartaruga volante Gamera.
Quindi, tra personaggi caratterizzati dalle consuete fattezze caricaturali dei lavori d’animazione del regista e un’indispensabile spruzzata d’ironia, non è certo il filone dei kaiju eiga – ovvero quello relativo ai mostri giapponesi – a non essere preso in considerazione; mentre viene anche citato televisivamente Christopher Lee nei panni di Dracula e fa presto la sua entrata in scena una cagnolina acconciata alla maniera della moglie di Frankenstein.
Perché, in fin dei conti, man mano che sullo schermo sfilano grotteschi soggetti del calibro della mummia criceto e delle scimmie marine, l’elaborato in questione non assume altro che i connotati di un nostalgico miscuglio disegnato di diverse tipologie di cinema di genere; corredato nella versione originale dalle voci di vecchi collaboratori burtoniani, dal Martin Landau di "Ed Wood" (1994) al Martin Short di "Mars attacks!" (1996), passando per Winona Ryder, il cui lungo curriculum include "Beetlejuice - Spiritello porcello" (1988) ed "Edward mani di forbice" (1990).
Quindi, ci si sente intrattenuti in maniera più che sufficiente, soprattutto se dotati di quella sensibilità cinefila particolarmente propensa alle bizzarrìe tipiche dei b-movie... anche se, allo stesso tempo, soprattutto per lo spettatore maggiormente smaliziato, risulta impossibile non avvertire l’imminenza dell’esaurimento di idee originali da parte di colui che provvide a rinnovare il mito di Batman e dei cinecomic sul grande schermo.
La frase:
"Non c’è niente che non va in Victor, solo, vive nel suo mondo".
a cura di Francesco Lomuscio
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