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Forgiveness
Il 9 aprile del 1948 alcuni reparti dell'Irgun, guidati da Menachem Begin e della Stern Gang entrarono nel villaggio palestinese di Deir Yassin, uccidendo sistematicamente cento persone, tra uomini, donne e bambini. Sulle rovine del villaggio fu in seguito costruito un ospedale psichiatrico destinato in primo luogo a persone sopravvissute alla Shoah. Secondo una leggenda questi sopravvissuti sarebbero in grado di comunicare con le vittime di quel massacro, lacerando il velo tra mondo dei vivi e mondo degli spiriti.
Partendo da questa pagina della storia palestinese/israeliana "rimossa" dalla coscienza collettiva e completamente ignota in occidente, il regista Udi Aloni costruisce una storia incentrata sulla possibilità del perdono di un crimine atroce: l'assassinio di una bambina palestinese da parte di una soldato israeliano. La storia ruota attorno al destino di David Adler, ricoverato proprio in quel ospedale psichiatrico costruito sulle rovine di Deir Yassin. Il film si dipana attraverso una serie di flashback e flashforward che solo gradualmente raccontano la vicenda di David, accennando allo stesso tempo alle molteplici possibilità che da queste potrebbero scaturire. Si tratta di una lotta per la salvezza dell'anima di David, che potrà smettere di essere un guscio inanimato solo quando sarà in grado di riconoscere ed accettare la propria colpa. Nel suo viaggio è accompagnato dal padre, dal direttore dell'istituto di cura e da un sopravvissuto ad Auschwitz, soprannominato Muzelmann. Come sappiamo da Primo Levi, i "mussulmani" erano i prigionieri dei campi di sterminio nazisti che a un certo punto, quasi misteriosamente, smettevano di lottare per la propria esistenza, lasciandosi morire. Nessun "mussulmano" è mai tornato a raccontare la propria storia, perché già i primi sintomi di questo abbandono alla morte equivalevano ad una condanna certa. Quindi è paradossale che qualcuno oggi venga chiamato in questo modo, e bisogna interpretare altrimenti questo soprannome. Evidentemente Muzelmann proprio per il suo stato di sospensione tra la vita e la morte è in grado di farsi tramite tra mondo dei vivi e mondo delle ombre, rendendo possibile un rituale di guarigione per l'anima lacerata di David.
Il regista Aloni crede alla coesistenza tra palestinesi ed israeliani, ed è convinto che le somiglianze superino le divisioni tra questi due popoli. Nella pellicola sono avvertibili molti elementi della cultura ebraica, islamica e cristiana, tutti in qualche modo riconducibili all'idea di perdono, che sempre secondo Aloni non deve essere un dono, in contrasto con quanto sostiene Derrida, ma deve essere condizionato ad un assunzione di responsabilità come base per una convivenza possibile.
La frase: "Hai preso le voci all'esterno, le hai messe all'interno e hai dato loro il nome di subconscio. Poi le hai rinchiuse e le hai chiamate psicosi".
Mauro Corso
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