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Five fingers - Gioco mortale
Quando dopo minuti dall'inizio del film il primo attore che appare sulla locandina all'entrata del cinema dice alla sua ragazza che il viaggio che sta per intraprendere "andrà tutto bene", siamo sicuri che quelle saranno le classiche "ultime parole famose". E così è anche per il pianista olandese Martijn (Ryan Phillippe) che, partito alla volta del Marocco per diffondere un piano umanitario a favore della popolazione del luogo, viene subito rapito da quel che sembra un gruppo di fondamentalisti islamici, capitanati da un misterioso nigeriano (Laurence Fishburne) e sottoposto a tortura. Da dove provengono i soldi del suo progetto? Perché nessuno in Marocco ne sa nulla? Non ci sarà forse la CIA dietro a questo misconosciuta iniziativa?
Si potrebbe dire un film attuale, ma in verità l'attualità dura da così tanto tempo (e il futuro non sembra avere prospettive diverse) che fare accenni allo scontro Israele-Hezbollah libanesi invece che all'attentato del 26 Febbraio 1993 nel parcheggio delle Torri gemelle va sempre e comunque bene, nonostante tra i due episodi vi siano più di tredici anni di differenza. Il regista e sceneggiatore del film Laurence Malkin concentra nell'angusto spazio dell'interrogatorio, dove l'ostaggio è continuamente ripreso da un videocamera digitale, tutti i pensieri, le contraddizioni e le diverse letture e modi di porsi rispetto agli eventi che alcuni definiscono "lo scontro di civiltà" del nuovo millennio. L'occidentale a favore dell'intervento militare americano e quello che sostiene le ragioni del popolo palestinese, l'ingenuità dell'ideologico pacifista ("Lavoriamo per il medesimo obiettivo…la causa del popolo"), il cinismo dell'interventista ("Smettila con le stronzate politically correct…chiamali bestie") , le torture di Abu Grahib, gli attentati kamikaze, il ruolo geopolitico delle multinazionali, la capacità delle cellule terroristiche di comunicare col web, l'impatto dei media sugli atteggiamenti di chi oggi viene rapito da gruppi di arabi, la necessità della CIA di combattere con ogni arma e mezzo per evitare un altro 11 Settembre: dopotutto si è in guerra.
Ma al di là di tutte le letture politiche ed extrafilmiche che si potranno dare, "Five fingers" (Cinque dita) è anche e soprattutto un thriller compatto e ricco di suspance che inchioda alla sedia come accade al protagonista. E seppure il ricorso ai flashback una volta finita la narrazione non sembrerà una trovata necessaria ai fini della comprensione della storia, questi vanno letti più nell'ottica del voler dare un po' più di più respiro al tutto (sono gli unici veri esterni della pellicola) che come tentativo di dare anche un qualche significato retorico-amoroso alla vicenda.
Un film fatto con pochi mezzi, ma che vale davvero il prezzo del biglietto ( o del noleggio).
La frase: "- Tu sei sposato?
- Secondo te perché amo viaggiare?"
Andrea D'Addio
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