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Femme Fatale
La 'femme fatale' di Brian De Palma è davvero cattiva. Una di quelle dark lady difficili da dimenticare. Che lasciano il segno.
Priva di remore e tabù, sbrana uomini e donne con la stessa voracità di una mantide religiosa, ed è in grado di uscire da qualsiasi situazione, scabrosa o solamente pericolosa. Una manipolatrice che mente con la stessa facilità con la quale seduce, capace di assistere al suicidio di una giovane donna senza intervenire e impossessandosi della sua identità senza battere ciglio.
Dimenticati gli Studios hollywoodiani e gli effetti speciali dei suoi ultimi film, De Palma sbarca a Parigi e approfitta della libertà d'oltreoceano per scatenare la propria fantasia registica.
La sua cinepresa gira abilmente attorno ai protagonisti, li riprende dall'alto, scende e sale con straordinaria leggerezza e con degli abili split screen racconta due volte: espone con indiscussa arte a doppiezza e l'ambiguità della storia e dei suoi personaggi.
La protagonista, Laura Ash ricorda per crudeltà e perversione la Barbara Stanwick de "La fiamma del peccato". Ed è proprio con una delle scene finali di questa pellicola che il regista inizia il suo film: un ideale omaggio al grande cinema americano degli anni '40, sottolineato dalla catenina d'oro legata alla caviglia della bella Rebecca Romijn-Stamos, quella stessa catenella che rese indimenticabile la grande attrice del passato.
Girato in parte durante il Festival di Cannes del 2001, con 'comparse' d'eccezione come Gilles Jacob, presidente del festival o la luminosa Sandrine Bonnaire, il film è la storia piuttosto complicata di una ladra di gioielli e di un fotografo sull'orlo del fallimento professionale ed economico. Nonostante l'indiscutibile talento creativo, De Palma sembra impantanarsi proprio in quel terreno, pur fangoso, in cui con "Vestito per uccidere" o "Omicidio a luci rosse" è stato maestro. E lo rende ancora più scivoloso seminando qua e là un numero esagerato di indizi e soluzioni apparenti arrivando infine a concludere l' "esperimento" con insulso e improbabile finale.
Indiscutibile spettacolo visivo con alcune geniali intuizioni: i personaggi spesso inquadrati di spalle, o vestiti allo stesso modo nonostante siano passati un considerevole numero di anni, spiazzerebbero certamente lo spettatore se la storia avesse un pò più di consistenza.
E magari anche due interpreti più incisivi.
Valeria Chiari
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