Paranormal Stories

[AVVISO PER I LETTORI: la seguente recensione è stata scritta in data 19/03/2011. Da allora il film ha subito sostanziali e importanti modifiche ed è arrivato in sala in altre versioni]

E’ Gabriele Albanesi – regista de "Il bosco fuori" e "Ubaldo Terzani horror show" – a produrre questa compilation tutta italiana di cinque storie di fantasmi dirette da sei registi provenienti dall’universo dei cortometraggi, qui supportati dall’Università degli Studi Tor Vergata di Roma.
Ad aprire le danze è l’insipido "17 Novembre" di Tommaso Agnese, i cui protagonisti devono vedersela con la maledizione legata al defunto padre omicida di uno di loro; mentre "Offline" di Andrea Gagliardi parte da un soggetto dello stesso Albanesi per tirare in ballo addirittura il Daniele De Angelis di "Last minute Marocco" e il Primo Reggiani di "Baciami ancora", ponendoli al servizio di una vicenda di chat e suicidi che, però, non si rivela essere altro che un rifacimento in breve dell’orientale "Kairo" di Kiyoshi Kurosawa, conosciuto anche con il titolo anglofono "Pulse".
E’ poi il turno di "Fiaba di un mostro" di Stefano Prolli, che, ambientato nel 1984 in un paesino del Lazio, racconta di un ragazzino malato di cuore emarginato dai coetanei e considerato il "figlio del diavolo", fino all’inevitabile tragedia in un tassello ricco di simbologie ma incapace di funzionare a dovere, soprattutto a causa del fatto che sembra guardare più al cinema di Giuseppe Tornatore che alle ghost story.
Ed è soltanto dopo il noioso ed inutile "La medium", a firma di Roberto Palma ed incentrato su una truffaldina spiritista destinata ad avere a che fare con pericolose presenze, che giungiamo al conclusivo "Urla in collina", realizzato a quattro mani da Marco Farina e Omar Protani ed interpretato dalla Laura Gigante del succitato "Ubaldo Terzani horror show".
Con tre ragazze impegnate a fronteggiare, all’interno di un motel, il vendicativo spettro di colui che hanno investito accidentalmente con l’automobile poco prima, si tratta dell’episodio meno riuscito dell’antologia dal punto di vista tecnico, ma, probabilmente grazie alla sua struttura da slasher e al ben dosato citazionismo (tornano alla memoria sia "So cosa hai fatto" che "Creepshow 2"), anche di quello che sembra funzionare meglio degli altri per quanto riguarda l’intrattenimento.
Nel complesso, quindi, nient’altro che un esercizio di stile dai risultati altalenanti, la cui unica funzione può essere quella di rappresentare un vero e proprio biglietto da visita per i giovani cineasti coinvolti.

La frase: "Solo la morte poteva riavvicinarci".

Francesco Lomuscio

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