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Fame chimica
Sono buone le intenzioni che hanno spinto i due neo-registi Paolo Vari e Antonio Bocola a realizzare "Fame Chimica", mediometraggio docu-fiction presentato al festival Filmaker del 1997 e in seguito trasformato ed espanso in lungometraggio per portarlo oltre il circuito dei centri sociali e delle associazioni, ed entrare anche nelle sale cinematografiche.
Cinque anni per riproporre una storia che probabilmente aveva più peso e ben più valore nella sua prima veste e che invece adattata al grande schermo perde in vitalità e originalità, eguagliandosi al fin troppo ampio panorama di film sui giovani di oggi.
Una periferia torinese, che potrebbe essere quella di qualsiasi altra città; la piazza "sotto casa", con due bar che ogni giorno raccolgono i più diversi tipi del quartiere. Due amici, Claudio e Manuel cresciuti insieme, fanno parte del gruppo di giovani che ogni giorno si ritrova sulle panchine vicino ai giochi per bambini. Due vite diverse le loro, ma legate da una profonda amicizia: il primo ha un lavoro regolare sebbene faticoso e mal pagato, mentre il secondo vive vendendo droghe d'ogni genere. Immigrati da una parte e residenti dall'altra la piccola piazza è una sorta di mondo in miniatura in cui le tensioni sociali e razziali accendono violenze d'ogni genere. Sullo sfondo delle lotte tra cittadini che dietro l'aspirazione di preservare e migliorare il territorio comune nascondono i propri disagi e pregiudizi nei confronti degli extra-comunitari, i due ragazzi si trovano a dover fare i conti con i sentimenti che susciterà in loro l'arrivo di una ragazza.
I due registi, che oltre ad alcuni mediometraggi e documentari vantano un'ampia esperienza nel campo della pubblicità, raccontano di un microcosmo periferico che solo l'utopia della solidarietà ha potuto far pensare di essere tollerante ed accettare un nuovo tipo di convivenza in cui nuove razze si mescolano alle vecchie. Tensioni razziali dicevamo, sullo sfondo pur concedendo spazio ai due protagonisti che lasciandosi vivere restano in balia degli eventi, a scapito di una storia che si riduce ad un filo labile e poco coinvolgente. Interessante invece la soluzione di sottolineare l'aspetto sociale del film attraverso la colonna sonora: il cantante entra in scena e, moderno corifeo esprime e commenta le azioni della tragedia.
Valeria Chiari
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