Wim Wenders - Ritorno alla Vita
Tomas (James Franco) è uno scrittore in preda ad una crisi creativa e personale: non riesce a scrivere con continuità e ad avere un rapporto sereno con la sua compagna Sara (Rachel McAdams). Tomas si allontana e si isola per cercare l’ispirazione, ed è proprio in uno dei suoi giri nel vuoto innevato nei dintorni del lago Ontario che avrà l’incidente stradale con due bambini che sconvolgerà la vita sua e di Kate (Charlotte Gainsbourg) loro madre. La storia si articola nei dodici anni successivi, raccontando le cadute, le riprese e il vuoto lasciato da una circostanza così grave.
Dopo due documentari, il capolavoro assoluto Pina nel 2011 e il magnifico Il sale della terra (diretto insieme a Juliano Ribeiro Salgado) nel 2014, Wenders torna al cinema di finzione con un film propostogli da Bjørn Olaf Johannessen che gli ha spedito la sceneggiatura per posta.
Nel giudicare quest’opera è di fondamentale importanza innanzitutto tracciare una linea di separazione tra il cosa viene narrato e il come: tra la sceneggiatura e la regia. La sceneggiatura risulta in certi punti un po’ zoppicante, e ne fa le spese l’armonicità del film, non sempre impeccabile. I salti temporali, ad esempio, appaiono più come tagli netti che graduali tappe d’avvicinamento alla risoluzione del nodo. Lo script ha comunque il merito di raccontare una grande storia: personale quando descrive le sofferenze dei protagonisti nello specifico dell’incidente che li coinvolge, e universale quando diventa metafora delle difficoltà di tutti nel trovare un proprio posto nel mondo.
È su questo binario personale-universale che si sviluppa anche il tema che più ha colpito Wenders quando ha letto la sceneggiatura: il senso di colpa. «Ma non (tanto) – ha dichiarato il regista tedesco - in relazione all’incidente che coinvolge il protagonista, Tomas (la colpa personale ndr): intendo piuttosto il senso di colpa in cui si incorre in ogni attività creativa nel momento in cui si usa o si “sfrutta” la vita reale. È giusto utilizzare per il proprio lavoro le esperienze o la sofferenza di altre persone, trasformandole in un romanzo o in un film? (la colpa “universale” dell’artista ndr)».
Tecnicamente è un film eccellente, con un 3D (tecnologia molto cara al tedesco) impeccabile che contribuisce a una composizione dell’inquadratura sempre ricca, misurata, perfetta. Non a caso Wenders ha dichiarato di non aver mai «dedicato tanto tempo alle location come in questo film» percorrendo per due anni gli spazi che poi sarebbero diventati palcoscenico dell’opera, «li ho interiorizzati a tal punto da sapere quasi automaticamente dove piazzare la cinepresa per ogni inquadratura».
Detto ciò, Ritorno alla vita, pur essendo un buon film, non è certamente il migliore di Wenders. Ma il lavoro di un regista che dice di aver imparato il senso dello spazio e dell’inquadratura da alcuni grandi pittori «tra cui il mio vecchio maestro Edward Hopper» e che sulla sua opera fa riflessioni come: «Spero che le immagini in Cinemascope 3D del film non diventino parte di quella infinita e arbitraria valanga visiva, spero piuttosto che conservino la loro indipendenza e raggiungano quella che auspicava Béla Balázas, il teorico del cinema ungherese degli anni venti: “il cinema è capace di mettere al sicuro l’esistenza delle cose”» va senz’altro visto e ammirato.
La frase:
"I libri prima dell’incidente non erano così buoni".
a cura di Alessio Altieri
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