Vuoti a rendere
Un rapporto sanguigno, affettivo e artistico quello tra padre (Zdenenk) e figlio (Jan) Sverak. In proposito, "Vuoti a rendere" (Empties) chiude una trilogia esistenzial-genitoriale di lungometraggi di finzione realizzati in sodalizio – e fruttuosa di riconoscimenti in quanto a premi e pubblico - che tocca l’infanzia ("Scuola elementare", nomination all’Oscar) e la condizione adulta ("Kolya", statuetta come miglior film straniero); e in cui si inserisce anche il documentario "Tatinek" (Papà), inizialmente pensato per terminare proprio sulle riprese di quest’ultimo lavoro sulla vecchiaia, che invece poi è slittato. L’attesa ha però riservato le sue soddisfazioni, non solo in attestati da diversi festival internazionali ma addirittura per il miglior incasso di sempre nella storia della Repubblica Ceca. L’incognita tra l’altro era ben presente, trattandosi di un ritorno sul grande schermo dopo un’assenza decennale per papà Zdenenk e, da co-protagonista a distanza di diverso tempo, per Daniela Kolarova (che era stata sua sposa filmica anche nel ’94). La cui presenza, del resto, sembra la risposta mirata ad un’accusa toccata a volte ai Sverak rispetto all’utilizzo di personaggi femminili poco incisivi.
Come co-produttore e regista c’è Jan, mentre il compito di sceneggiatore e attore (e paroliere della canzone originale) spetta al genitore, che nella vita è pure scrittore e autore teatrale. Insieme alle notazioni sulla solitudine ("i miei amici o si sono rimbambiti o sono morti") e alla "rottamazione sociale" riservate alla terza età, si aggiungono la robusta, schietta tempra della coppia rodata ("statistiche. Voi morite prima e noi veniamo a trovarvi sulla tomba. Non mi va di farlo"), le caratterizzazioni di un ingranaggio dalla dimensione anche corale e ben oliato, dinamismo e uno spirito combattivo e umoristico al contempo.
La frase: "Il modo in cui mi ha liquidato è stato fantastico".
Federico Raponi
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