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Il cittadino illustreLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato24 novembre 2016Voto: 7.0
Presentato In Concorso alla 73. Mostra d’Arte cinematografica di Venezia, “Il cittadino illustre” (El Ciudadano Illustre) è il film drammatico diretto da Gastón Duprat e Mariano Cohn e interpretato da Oscar Martínez. Daniel Mantovani, premio Nobel per la letteratura, da cinque anni non scrive niente di nuovo, e sono più gli inviti che rifiuta di quelli che accetta. Quando però arriva via lettera una richiesta da Salas, minuscolo paese argentino, decide di andare. A Salas, Daniel Mantovani è nato e cresciuto, e da là è fuggito, senza mai farvi ritorno per 40 anni, costruendo la sua identità sul rifiuto di quel luogo e della sua mentalità. Una volta in Argentina, lo scrittore è oggetto di un’accoglienza trionfale, ma col passare dei giorni le cose peggiorano, le sue opinioni non piacciono, si solleva un malumore sempre più generalizzato, un’aria di violenza.
A primo impatto “Il cittadino illustre” è un film come tanti, dove un uomo - anche se si tratta di un premio Nobel per la letteratura - ritorna nella terra d’origine che aveva abbandonato molti anni prima in quanto non in linea con il suo pensiero e il suo modo di vivere. Nulla di nuovo, direte voi, ma in realtà è un progetto originale, innovativo, perchè ci permette di comprendere quanto sia importante parlare in modo chiaro, asciutto e senza fronzoli, anche se ciò può portare a conseguenze inimmaginabili. Quante volte per paura di dire ciò che pensiamo mentiamo spudoratamente per quieto vivere? D’altronde lo diceva anche Max Pezzali che fingere a volte è la miglior cosa. Ma sarà davvero così? Del film colpisce soprattutto il linguaggio adottato da Daniel: diretto, che non lascia spazio ad un ripensamento, un modo di essere che riesce a ferire anche un normale cittadino il cui unico desiderio è che egli vada a pranzare dalla sua famiglia. Il motivo è semplice, ovvero egli riconosce in un personaggio dell’ultimo romanzo dell’autore la figura di suo padre. Questo ci fa comprendere che spesso si tende a confondere la fantasia con la realtà, forse perchè in cuor nostro abbiamo bisogno di essere rilevanti per qualcuno, o magari perchè vogliamo semplicemente fare parte di un qualcosa di più grande di noi e sentirci apprezzati. Nel film sono presenti molti colpi di scena, nonostante l’andamento sia alquanto lento e serrato e non cenni a migliorare neanche verso la fine. A lasciare l’amaro in bocca è l’amaro finale, perchè porta lo spettatore a cambiare il suo punto di vista su quanto visto fino a quel momento nel progetto. Dal canto nostro, un risultato migliore si sarebbe avuto se non fossero state cambiate le carte in tavola, ma - ahimè - è facile cadere in queste piccolezze dopo circa due ore di film. A farla da padrone sono i continui dialoghi che non lasciano spazio ai silenzi, o meglio, non abbastanza da permettere al pubblico di calare il suo livello di concentrazione. Bisogna porre attenzione non solo a quanto viene detto, ma anche ad ogni personaggio perchè tutto - dalla più piccola frase alla figura che pare più insignificante - ha un grande valore nel film. Emerge, inoltre, la volontà di denunciare alcuni meccanismi propri dello Stato, delle istituzioni e l’ipocrisia di una società che pensa di essere perfetta e che, invece, presenta grossi problemi su tutti i fronti. Non sorprende, infine, che il protagonista indiscusso della pellicola - Oscar Martínez - abbia vinto la Coppa Volpi per il migliore attore nel corso dell’ultimo Festival di Venezia. Il merito di ciò è da attribuire in primis alla sua grande capacità espressiva, ma sicuramente ha inciso anche la naturalezza con la quale ha interpretato il suo personaggio: la credibilità prima di tutto e lui è risultato tale anche quando determinate situazioni avrebbero potuto metterlo in difficoltà. Consigliamo la pellicola ad un pubblico adulto per via dei temi trattati e di alcune scene poco adatte alla visione dei più piccoli. La frase dal film:
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