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Don Jon











Il nome è tutto un programma. Lui è Jon Martello, chiamato dagli amici Don Jon per la sua straordinaria capacità di sedurre le donne e portarle a letto. Un ragazzo tutto casa, chiesa e famiglia, con la particolare passione per la pornografia sulla quale ha sviluppato la sua personale riflessione: il porno ti regala momenti "piacevoli", levandoti il fastidio di "dare" per poi "ricevere". Neanche quando si fidanzata con la ragazza più bella che abbia mai visto il suo pensiero cambia. Forse il fatto è che non ha mai conosciuto una persona da amare veramente...
Questa la trama di "Don Jon" che segna il debutto alla regia di Joseph Gordon-Levitt, che per l’occasione si è circondato sapientemente di un cast stellare da usare come certezza per la riuscita del film. Scarlett Johansson, infatti, veste i panni della ragazza bella ma che non balla, portando con sé il tema della superficialità legata all’apparenza. Lei è la classica ragazza barbie, che insieme agli altri personaggi femminili del film è stata utilizzata per aprire il tema del falso maschilismo. Falso, perché additare il film dell’atteggiamento culturale sessista è leggermente inopportuno. E’ una scelta reale e spesso tutta femminile quella di voler dare maggior risalto all’estetica rispetto all’etica. Anche perché il ruolo della donna vera e propria, quella bella fuori e dentro, nel film è dato all’eccezionale Julianne Moore, che da sola alza incredibilmente il livello già alto dell’opera. La scelta di Gordon-Levitt di analizzare e adattare, portandoli all’ennesima potenza, gli stereotipi comportamentali della nostra società, in fin dei conti diverte anche grazie all’ironia con la quale vengono trattati. Sono personaggi tangibili: lo stesso Jon è uno di quei ragazzi che si incontrano ogni qual volta si va in discoteca.
Giocando sul realismo, confeziona un primo film autentico e moderno.
E’ anche un romanzo di formazione che apre il sipario con una carrellata di foto di donne in pose volgari, e che si chiude con la comprensione di cosa voglia dire Amare. Sostenuto da una sceneggiatura brillante e convincente – nonostante a volte sia un po’ troppo ripetitiva - che in alcuni momenti arriva a toccare l’apice della genialità, l’attore americano si diverte a smascherare i luoghi comuni e i cliché che caratterizzano la generazione di mezzo, specialmente quelli che riguardano l’incomunicabilità in una coppia.
La forza del film sono anche i dialoghi irriverenti e schietti; la fotografia colorata e fresca; e lo stile anticonformista e vivace. Un esordio che per piacere deve essere però preso non troppo sul serio, come fa lo stesso autore nella sua performance artistica. Se seguite il consiglio, l’intrattenimento è assicurato!

La frase:
"Ho pensato che la relazione tra un maniaco del porno e una fanatica di un film d’amore fosse esilarante per una commedia romantica, centrava il punto".

a cura di Valeria Vinzani

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