Dirty Dancing 2
Ero poco più che una bambina quando mia zia, romantica all’ennesima potenza, mi “costrinse” a vedere Dirty dancing - Balli proibiti. Ricordo che il film non mi piacque molto, ma che restai affascinata dalla determinazione e dalla forza di volontà di Babe che, nonostante fosse di poco più grande di me, aveva trovato la forza di mettersi contro tutto e tutti pur di realizzare il suo sogno. La frase “nessuno può mettere Babe in un angolo” risuonò nelle mie orecchie per molto tempo, e forse, speravo che qualcuno lo dicesse di me. Mi ritrovo ora, “da grande”, a rivedere il secondo capitolo di quello che negli anni ottanta, fu un clamoroso successo di pubblico. L’ambientazione cambia, anche se gli anni restano più o meno gli stessi. Non siamo più in un villaggio turistico della costa americana, ma nella Cuba che sta per essere conquistata da Castro. Qui, proveniente da una noiosa St. Louis, si trasferisce per lavoro, tutta la famiglia Miller. La diciottenne Katey (Romola Garai) inizialmente poco contenta del cambiamento, ben presto si adatta alla nuova vita, anche se non lega con i suoi coetanei connazionali, ma con Javier (Diego Luna – Open range) un cameriere del posto, eccellente ballerino. Figlia di due ex stelle della danza, Katey si appassiona alle sensuali movenze dei cubani e così, un po’ per gioco un po’ per sfida si segna ad una gara di ballo cui parteciperà insieme a Javier. L’iniziale diffidenza del ragazzo, la freschezza di Katey, la voglia di ballare di entrambi e gli obiettivi ostacoli cui devono far fronte faranno da romantico sfondo ad un’adolescenziale e innocente storia d’amore che si sviluppa fra locali fumosi e ritmi indiavolati. Oltre alla partecipazione di Swayze, (ancora in ottima forma!) del primo film non resta molto. E’ meno intrigante e provocante, ma più scanzonato e giovanile. Del conflitto generazionale, motore scatenante del primo episodio, non resta traccia. Katey deve contrastare piuttosto un forte conformismo e una serie di pregiudizi che i suoi genitori e gli altri ospiti dell’albergo hanno nei confronti dei cubani. Non ha difficoltà a ballare (ricordate Jennifer Grey che non riusciva a fare il famoso salto?), ma deve riadattare il suo modo di muoversi, molto tecnico e cerebrale, a quello di Javier, che danza con una naturalezza e spontaneità. I balli sensuali, che tenevano avvinghiati Swayze e Grey, e che fecero da preludio ad un altro tormentone di quegli anni, la lambada, qui si trasformano in una sorta di fusion, una commistione di tanti stili sudamericani e afro-cubani che strizzano l’occhio al rock dei primi anni sessanta. Superficiale per quanto concerne l’ambientazione storica, non si capisce perché si è voluto collocare la vicenda nella Cuba di quegli anni se poi tutto lo sfondo politico resta assolutamente marginale. La storia d’amore che sboccia fra i due interpreti è anch’essa poco interessante. Gli sguardi sensuali, le carezze languide, le situazioni intriganti che legavano i protagonisti della prima vicenda, sono spariti. Al loro posto si ritrova una grande amicizia che solo in seguito si trasforma in amore, ma che conserva sempre un candore e un’ingenuità che forse saranno poco apprezzati dalle ragazzine di oggi, sempre più disincantate e smaliziate.

Teresa Lavanga

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