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A cena con un cretino
Chiunque abbia visto nel 1998 al cinema, o negli anni a seguire in dvd, "La cena dei cretini", non può essersi dimenticato di un nome: François Pignon. Era questo personaggio la forza motrice di un racconto straordinariamente comico, capace di cavalcare la battuta cattiva e il cinismo che domina il nostro presente per poi rivoltare completamente tutto con una morale tanto scontata quanto toccante. Fu un film magnifico, non a caso ripreso più volte e in tutto il mondo, con una versione teatrale. Non sarebbe stata la stessa, splendida, cosa se il protagonista non fosse stato Jacques Villeret, attore dal talento infinito, morto purtroppo troppo giovane.
Il remake americano della commedia francese diretta all’epoca da Francis Veber, non può che fare prima di tutto i conti con l’originale. E quindi anche con gli attori. Steve Carrell, che qui interpreta "il cretino" invitato ingenuamente a cena affinché uomini di successo intorno a lui lo possano deridere e divertirsi, ha dovuto mettersi i dentoni da castoro per apparire comico fin dall’apparenza.
Ma tutto sa già di falso: Villeret era calvo, basso e grasso di suo, e così il suo riscatto finale sembrava naturale, non l’abbellimento interiore di un uomo costruito fin dall’inizio, anche con il make-up, per apparire ridicolo (come succede per Steve Carrell). C’è troppa azione e poco approfondimento dei personaggi. A risentirne è così la risata: ci si sente poco coinvolti, ed è subito chiaro dove si voglia andare a parare. La cattiveria su cui si dovrebbe costituire la base dell’ironia non è spinta fino in fondo (il personaggio di Paul Rudd non è un vero bastardo nel senso del termine), mentre le tante scenette che sono state create per questa trasposizione americana sanno di déjà-vu (con l’amante sadomaso che addirittura ricorda il Carlo Verdone e la russa di "Italians"). Tutto ben confezionato e anche recitato in maniera onesta (Paul Rudd e Steve Carrell sono due ottimi commedianti), purtroppo però senza alcuno squillo (forse l’apparizione del barbuto Zach Galifianakis in ufficio), niente che si lasci ricordare, che faccia male alla pancia dal dolore positivo di un eccessivo riso. Qualche battuta sì, poco più del minimo sindacale. Se questa distribuzione servirà per portare più spettatori a vedere l’originale francese, almeno una nota (molto) positiva l’avrà anche questa pellicola, sennò cadrà presto nel calderone di quei film di cui ci si chiede se ce ne fosse davvero bisogno (domanda retorica che non bisognerebbe mai fare per un film o un’opera d’arte, ma che alla fine, comunque, ci si pone sempre).
La frase: "Tutti dicevano a Vincent Van Gogh: "Non puoi essere un grande pittore, tu hai solo un orecchio", e sai cosa disse lui? "Non riesco a sentirvi"".
Andrea D'Addio
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