Defiance - I giorni del coraggio
La maggior parte dei film che parlano degli anni della seconda guerra mondiale dal punto di vista ebraico sono solitamente centrati sulla parte della persecuzione e della sofferenza, e quasi mai su momenti di resistenza. L’unico momento di resistenza ebraica che ha avuto una certa importanza nella costruzione di un’epica cinematografica è la rivolta del Ghetto di Varsavia, iniziato nell'agosto del 1944 e soffocato nel sangue. Vi furono dei piccoli gruppi che si unirono a bande partigiane (anche se il pregiudizio antiebraico era forte anche in queste formazioni) per proseguire la lotta contro l’occupazione e che per lo più si nascondevano nei boschi.

Defiance racconta la vicenda, basata su fatti autentici, dei fratelli Bielski, che nel 1941, quando cioè Hitler decise di aprire il fronte orientale attaccando l’Unione sovietica, riuscirono a salvare più di mille persone dalla deportazione e dallo sterminio nascondendosi nei boschi dell’attuale Bielorussia. In effetti parlare di Bielorussia in quegli anni è un anacronismo. Fino al 1939 i territori di Nowogrodek appartenevano alla Polonia (e infatti i Bielski erano contadini polacchi). Con l’esecuzione del patto russo-tedesco Ribbentrop-Molotov i polacchi a est della linea del fiume Bug passarono sotto il controllo dell’Unione sovietica, dove l’antisemitismo restava comunque un aspetto culturale molto presente.

Tenendo presente questo quadro i Bielski si trovano in un contesto storico molto complicato per gli ebrei, e tale aspetto viene riportato in maniera piuttosto convincente nel film di Zwick. Più goffo il tentativo di mettere in evidenza la complessità del mondo ebraico di allora, che era diviso tra correnti religiose diverse, intellettuali e laici tout-court. Il riferimento più frequente è ai malbushim (parola tratta dallo yiddish "malbesh" che vuol dire "abiti"), gli ebrei cittadini che hanno avuto accesso a un’educazione superiore e che, come ogni cittadino, non sanno nemmeno accendersi un fuoco. Naturalmente è presente anche il classico rapporto di amore-odio fra talmudista e pensatore di sinistra, lanciato quasi come un fatto inevitabile.

Il film, di per sè, al di là di ogni valore storico o di documentazione sconta però di una colpa terribile, cinematograficamente parlando. Forse, schiacciato dall’importanza dell’argomento, il regista Zwick dirige Defiance in maniera estremamente piatta e priva di originalità quasi per far prevalere la modalità letteraria sui mezzi narrativi di cui il cinema potrebbe teoricamente disporre. E così l’intento di educare (necessariamente imperfetto anche in un film della durata superiore alle due ore) rende Defiance una pellicola piuttosto difficile da seguire con passione.

La frase: "Facevo l’intellettuale".

Mauro Corso

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