Decameron Pie
L’inizio di tutto lo dobbiamo inevitabilmente a Pier Paolo Pasolini, il quale, senza neanche immaginarlo, diede il via con il "Decameron" (1971), primo tassello della sua "Trilogia della Vita" poi proseguita con "I racconti di Canterbury" (1972) e "Il fiore delle mille e una notte" (1974), ad un filone successivamente ribattezzato "Decamerotico" i cui titoli, tra un "Decameron n° 2… Le altre novelle del Boccaccio" (1972) di Mino Guerrini e un "I racconti di Viterbury-Le più allegre storie del '300" (1973) di Mario Caiano, non facevano altro che sfruttare i soggetti delle novelle scritte da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo per inscenare sollazzevoli collage di sesso e ironia.
Dopo un tentativo cinematografico di ritorno al genere da parte di Mariano Laurenti ("Chiavi in mano", del 1996) e uno televisivo per mano di Pier Francesco Pingitore (la mini-serie "La casa delle beffe", del 2000), è Dino De Laurentiis, affiancato, tra gli altri, dalla compagna Martha e dallo stilista Roberto Cavalli, a finanziare quello che, annunciato dalle nostre parti con il titolo "Angeli e vergini", si propone di intrecciare più situazioni di taglio goliardico-giovanilistico senza tradire lo spirito dello scrittore toscano.
Quindi, introdotti dalla didascalia "Non tutte le vergini sono angeli... e non tutti gli angeli sono vergini", assistiamo ai continui contrasti tra il giovane avventuroso Lorenzo de Lamberti (Hayden Christensen) e il ricco Gerbino de la Ratta (Tim Roth), le cui imprese ruotano attorno alla figura di Pampinea Anastagi (Mischa Barton), figlia di una nobile e rispettata famiglia dal nome che sembra fatto appositamente per prestarsi a sconci equivoci verbali.
Del resto, tra doppi sensi ed abbondanza di tette al vento (qui abbiamo anche quelle della nostra ex velina Elisabetta Canalis), è proprio sulla tipica comicità volgar-popolare che si è sempre basato il Decamerotico, ora aggiornato con lap dance, eiaculazione più o meno precoce e la mungitura di una vacca quale allusione alla masturbazione maschile (!!!); i fan del sottogenere fiorito nella prima metà degli Anni Settanta, allora, potrebbero tranquillamente trovare pane per i loro denti, con tanto di suore degne di una pellicola hard e maschi in perenne eccitazione sessuale.
Per gli altri, ridere si rivela impresa decisamente ardua, mentre la noiosa regia di David Leland ("Al diavolo il paradiso"), martellata di continuo da una disco-soundtrack, tenta di movimentare il tutto aggiungendo spettacolari duelli con la spada.
Tentativo piuttosto inutile.

La frase:
- "Siamo tutte vergini qui"
- "Sì, ma alcune sono più vergini di altre".

Francesco Lomuscio

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