Crazy Heart
Il successo passa, i fan pure ed arriva il momento di guardare la propria vita da un’altra prospettiva: a parte una carriera che è stata di successo, ma che ormai raschia il fondo del barile, cosa si è costruito? Dov’è quella "famiglia" di cui tanto ci si dimentica quando ci si distrae con la gloria, ma che appare ora indispensabile per dare un senso alla propria esistenza?
Temi di fondo che spesso ispirano storie cinematografiche e che servono anche a "Crazy Heart" per addentrarci nel mondo della musica country. Il nostro uomo è stavolta uno straordinario Jeff Bridges (che probabilmente vincerà l’Oscar con questa interpretazione) alcolista e autodistruttivo quanto basta da poter fare del suo possibile cambio di vita la trama di una pellicola. Ad aiutarlo ci pensa l’amore: quello per una giovane giornalista (Maggie Gyllenhall, anche lei nominata dall’Academy come migliore non protagonista).
Tutto già visto (l’eco più vicino è quello di Mickey Rourke e del suo "The Wrestler"), ma non per questo negativo. Il film scorre seguendo le tappe convenzionali del dramma personale, tra entusiastici nuovi inizi e tristi ricadute. L’abilità del regista esordiente Scott Cooper è soprattutto nel suo sapere dirigere (o semplicemente, nell’aver scelto) Jeff Bridges. L’attore californiano riesce a dare corpo e voce (sia lui che Colin Farrell cantano in presa diretta) ad un personaggio che fin dalle sue rughe e barba grigia racconta un passato che a parole viene solo accennato. Bridges ha inciso un disco di musica country nel 2000, oltre ad aver interpretato in passato altri ruoli da cantante (vi ricordate del suo jazz in "I favolosi Baker"?): "Crazy Heart" sembra scritto su misura per lui.
Peccato che la versione doppiata tolga molto al film: l’accento texano di quasi tutti i personaggi maschili, quel suono roco e scavato tipico di chi sembra sempre che ne abbia viste di tutti i colori, è un elemento cardine per essere trasportati dopo pochi attimi dall’altra parte dell’oceano, nel sud degli Stati Uniti. La musica country, seppur così lontana dalle nostre radio, ha la capacità di essere orecchiabile e coinvolgente fin dal primo ascolto.
"Crazy Heart" ne diventa un piccolo manifesto visto dalla parte dei suoi protagonisti, uomini erranti frutto più che mai dell’America più tradizionale. E’ stato girato in soli ventiquattro giorni con sette milioni di dollari (cifra piccolissima per una produzione americana).
Un buon film classico che dimostra come, a volte, non sono necessarie idee originalissime per essere visti e apprezzati, ma basta fare le cose per bene, partire da un personaggio ben scritto e poi dare la giusta attenzione ad ogni aspetto narrativo e tecnico della realizzazione.

La frase: "Non ti ricordi, bellezza?".

Andrea D'Addio

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