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Humandroid











Johannesburg, nel 2016, è sotto assedio di una tale quantità di bande criminali che le sole forze di polizia non riescono più a contenere. La Tetraaval mette così a punto una serie di robot che hanno il solo scopo di aiutare, e ben presto rimpiazzare, le autorità nella lotta al crimine.
Il loro giovane creatore Deon è un ingegnere indiano che lavora da tempo sull'intelligenza artificiale e che coltiva il sogno di dotare le sue creature di una coscienza.
Nonostante sia fortemente osteggiato da Michelle Bradley (Sigourney Weaver) , presidente dell'azienda, e da Vincent Moore (Hugh Jackman), un ex militare destrorso che vorrebbe sostituire i robot con una macchina da guerra di sua invenzione governata dall'uomo, Deon riesce comunque a realizzare un prototipo di automa intelligente in segreto. Le cose si complicano quando Chappie, questo il nome del rivoluzionario robot dotato della sensibilità e dell'innocenza di un bambino, viene rapito da una gang di goffi criminali che decide di educarlo al crimine mentre Vincent, per dimostrare la superiorità dell'uomo sulla macchina, mette in moto il suo folle piano per disattivare contemporaneamente tutti i robot in circolazione.
Brutto passo falso per Neill Blomkamp, a un paio d'anni da quell'Elysium che aveva fatto così ben sperare per il suo approdo a Hollywood dopo il forte interesse suscitato da District 9 (Peter Jackson se ne era innamorato al punto di finanziarne personalmente la distribuzione) e giusto un attimo prima di imbarcarsi nel progetto, annunciato da poco, del prossimo capitolo della saga di Alien.
Humandroid, infatti (il titolo originale, Chappie, è stato cambiato solo in Italia, molto probabilmente per evitare facili accostamenti con la nota marca di cibo per cani) oltre a segnare per l'autore sudafricano una sorta di ritorno a casa, sia in termini puramente geografici che tematici, rappresenta purtroppo un'importante involuzione di un percorso finora privo di intoppi.
Torna il tema, centrale già in District 9, della brutalità umana contro qualsiasi forma di diversità, ma viene miseramente annacquato in una favoletta semplice semplice che, a tratti, finisce per assomigliare pericolosamente a Corto circuito, il film di John Badham dell'86.
La morale del robot senziente dotato di caratteristiche umane che lo rendono moralmente superiore agli umani stessi già non è di per sé nulla di trascendentale, ma Blodkamp riesce nell'impresa di banalizzarlo ancora di più attraverso una messa in scena così unidimensionale da ricordare non poco quei vecchi film della Disney che avevano come protagonisti Dean Jones o un giovanissimo Kurt Russell.
E non appaia peregrino il paragone perché l'impressione, in più di un'occasione, è proprio quella di trovarsi di fronte ad un film che abbia il proprio bacino d'utenza preferenziale nei bambini.
Talmente infantile da essere irritante il robot protagonista (Sharlto Copley, attore feticcio di Blomkamp, presta voce e movimenti a Chappie grazie alla tecnica della motion-capture), troppo imbranati i membri della gang che cercano invano di traviarlo (il gruppo rap locale Die Antwoord) e del tutto fuori fuoco il villain ultracattolico e fascistoide interpretato da Hugh Jackman.
E anche quello che poteva apparire come lo spunto più interessante di tutta l'opera - la presa di coscienza di Chappie della propria mortalità in una vita-batteria di durata limitata - non viene sfruttato appieno, in tutti i possibili sottotesti che la moderna drammaturgia sci-fi non può (e più che altro non deve) ignorare o non essere in grado di prendere in considerazione.
Per non parlare poi dell'utilizzo puramente accessorio di Sigourney Weaver, relegata a un ruolo di contorno che potremmo quasi definire un cameo e che fa il paio con quanto lo stesso autore aveva già fatto con Jodie Foster in Elysium.
Appare chiaro in definitiva come ci sia ben poco da salvare in Humandroid e la delusione per un risultato tanto risibile è tanto più cocente perché le aspettative erano parecchio alte, soprattutto per l'alto budget messo a disposizione dalla produzione e per il peso specifico degli elementi narrativi in campo.
Ciò che rimane a fine visione, invece, sono giusto due o tre scene simpatiche ma neanche tanto (il boss della gang che insegna a Chappie come fare la camminata da gangster) e la netta sensazione di aver appena assistito alla prima, grande occasione sprecata del 2015.

La frase:
"Io sono coscienza...io sono vivo...io sono Chappie".

a cura di Fabio Giusti

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