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Chaos
Nella scena finale di "Chaos", l'ultimo film della regista francese Coline Serreau ("Tre uomini e una culla", "Romuald e Juliette") quattro donne di quattro generazioni diverse siedono su una panchina a contemplare la quiete di un mare al tramonto ed a leccarsi le ferite che una società violenta e maschilista ha inferto loro. È l'unica scena in cui la frenetica camera a mano si placa favorendo la riflessione sulle vicende, convulse e disperate, che si raccontano in questo film.
"Chaos" racconta la storia di Noemie (Rachida Brakni), una giovane ragazza di origine algerina che per sfuggire al destino che il padre avrebbe voluto imporle, sposarla con un suo parente di Algeri, finisce nelle grinfie di un'organizzazione criminale dedita allo sfruttamento della prostituzione. Durante un tentativo di fuga, viene inseguita e malmenata dai suoi protettori davanti all'auto di Helene (Catherine Frot, ha lavorato con Alain Resnais in "Mon oncle d'Amerique" -1980- ) e suo marito i quali non le prestano soccorso fingendo di non notare l'accaduto. Noemie cade in coma ed Helene, spinta dal rimorso, inizierà ad andarla a trovare all'ospedale seguendone tutto il decorso. Le due donne diverranno amiche e collaboreranno nel difficile tentativo di liberare Noemie dal giogo impostole dall'organizzazione criminale.
"Chaos" è un film dallo sviluppo complesso e dagli intenti discontinui. Dalla storia principale, drammatica e angosciosa, si dipanano dei corollari semiseri dall'esito non convincente ed eccessivamente fuorvianti rispetto alla narrazione centrale. L'attenzione viene troppe volte discostata rimandando allo spettatore una sensazione di incompiuto. Stilisticamente, l'opera è contrassegnata da una fotografia sgranata e sovraesposta che, soprattutto nelle sequenze iniziali, accentua il senso di fastidio già provocato dai convulsi movimenti della camera a mano. La Serreau certamente conosce i ferri del proprio mestiere ma, a mio parere, la genialità della forma, in questo caso, non nasconde le magagne di un impianto ideologico francamente scontato, ai limiti dell'irridente. È granitico il presupposto che è alla base del film e cioè, per usare frase fatta, che il maschio più pulito ha la rogna. Forte di una convinzione manichea, ai confini del fanatismo, la Serreau non concede alcuno spazio a qualche personaggio maschile, non dico positivo, ma per lo meno salvabile da un giudizio incondizionatamente negativo. Dal marito di Helene a suo figlio, dal padre di Noemie ai suoi fratelli, per non parlare dei mostri della banda dei papponi, il film è costellato da una lunga teoria di maschi cattivi o, nel migliore dei casi, futili e leggeri.
Un film che non lascia scampo ai maschietti né alcuna possibilità di redenzione.
Questo film così è, prendere o lasciare.
Daniele Sesti
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