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Prova a prendermi - Catch me if you can
L'ultimo film di Steve Spielberg "Prova a prendermi" ("Catch me if you can" il titolo originale) è una godibilissima favola morale imperniata sulla contrapposizione apparenza/realtà che il personaggio di Frank W. Abagnale Jr. (realmente esistito, lo script è tratto da una sua autobiografia) sembrava aver brillantemente risolto sul finire degli anni '60. Dal dipanarsi della storia di Frank W. Abagnale Jr. si possono trarre delle semplici ma argute regolette etiche che il grande regista americano ci porge col suo modo di fare cinema leggero e discreto.
1º quadretto: dove assistiamo come un bravo figliolo, educato e rispettoso, possa essere rovinato dalla rottura del matrimonio dei suoi genitori. Frank ha sedici anni, posto di fronte al dilemma se andare a vivere con il padre o con la madre decide di non decidere e fugge da casa con l'intento di non tornarvi mai più;
2º quadretto: dove il giovane Frank per sbarcare il lunario scopre che l'abito fa il monaco. E allora durante i suoi tre anni di imprese criminose per il mondo lo vedremo trasformarsi in un professore di francese, in pilota della Pan Am, in un agente segreto, in un medico ed in un avvocato. Il tutto con estrema disinvoltura e grazie alle suggestioni suggerite da una divisa e dalle visioni dei film di 007, del Dr. Kildare e di Perry Mason;
3º quadretto: dove scopriamo che dove c'è un topo c'è sempre un gatto. Il gatto è l'agente dell'FBI Carl Hanratty, addetto alle frodi finanziarie e falsificazioni. Hanratty è il contrario di Frank Abagnale. Onesto e sincero, affatto disinvolto anzi molto impacciato, ma dotato di una ferrea volontà e di una rigorosa intelligenza. Si metterà sulle tracce di Frank senza concedergli tregua. Tra i due nascerà, come spesso accade, un profondo senso di rispetto reciproco, che li condurrà all'ultimo edificante quadretto;
4º quadretto: dove, nell'ultimo quarto d'ora dell'opera, traiamo la conclusione che non ha senso fuggire se nessuno ti insegue. Eh, sì, perché a questo punto, senza svelarvi il finale, si comprende che se è vero che è l'abito a fare il monaco, è pur vero che c'è bisogno di qualcuno che il tuo abito lo guardi. Se non c'è, non serve a nulla indossare il saio.
Ora, non preoccupatevi, quella che potrebbe sembrare una stucchevole lezione di morale è in realtà un film piacevole e divertente che Spielberg, in uno stato di grazia che dura dai tempi di "A.I.", gira con scorrevolezza ed un piglio divertito. I personaggi, profondamente delineati dalla sceneggiatura di Jeff Nathanson ("Colpo grosso al drago rosso"), sono tutti ottimamente interpretati. Leonardo Di Caprio è convincente nel ruolo del fascinoso protagonista, così come Tom Hanks nella parte del pignolo e tenace agente dell'FBI. Il cameo di Martin Sheen che interpreta un avvocato di New Orleans è di quelli da incorniciare ma su tutti svetta la prova di Christopher Walken nella parte del padre di Frank. La sua è un'interpretazione grandiosa, commovente per intensità e partecipazione. Walken ("Il cacciatore"; "Pulp fiction") disegna il suo personaggio restituendoci una delle maschere più enigmatiche ma anche più significative del cinema degli ultimi anni. Un altro dei motivi per non perdere questo film.
Das
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