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Cartoni animati
Finalmente approda sui nostri schermi un vecchio film dei fratelli Citti (risalente, ormai, a 6 anni fa), che però con gli intramontabili anime giapponesi, o cartoon americani che dir si voglia, ha ben poco a che vedere.
Sembra, infatti, che il titolo "Cartoni animati" (preferito al precedente "Il trasloco dei sogni"), sia stato scelto con geniale intuizione per evocare l'essenza poetica del film e per colorare di semplicità i temi trattati in esso. Peccato solo che tutto l'intuito e l'originalità di Franco e Sergio Citti si siano esauriti con la realizzazione del titolo...
Sì perché questo loro lavoro praticamente non ha trama, o meglio, ce l'ha ma è talmente inconsistente, surreale e pretenziosa che un qualunque film dell'avanguardia francese o tedesca degli anni '30, a confronto, parrebbe l'episodio di una sit-com. I personaggi principali della pellicola sono tre: Peppe (Franco Citti), barbone scontroso e disincantato, Maria (Elide Melli), vedova in preda a crisi esistenziali, e Salvatore "salva tutti" (Fiorello), che con le sue boccette di fluido magico comanda a bacchetta i sogni di una piccola comunità di reietti stabilitasi in una fabbrica dismessa. La storia procede tra gli irritanti inseguimenti di Maria ai danni di Peppe (la prima convinta che il secondo sia il suo promesso sposo redivivo dall'incidente stradale nel giorno del loro matrimonio) e le azioni salvifiche quotidiane da parte di Salvatore, che è un ibrido tra un venditore ambulante, uno stregone di serie B ed il pifferaio magico. Come se non bastasse, aleggia nell'aria il fantasma del consumismo, rappresentato da una holding giapponese crudele ed insensibile che acquisterà la fabbrica per scopi personali e che regalerà una casa vera a coloro i quali occupavano abusivamente i capannoni, alterandone però così gli equilibri umani e comunitari. Il tutto infarcito di discutibili riferimenti biblici (basta far caso ai nomi dei protagonisti), di citazioni classicheggianti (da "Miracolo a Milano" a "La dolce vita") e di messaggi che rischiano di scivolare in facili moralismi della serie "abbasso il consumismo: è una bestia pericolosa che rende gli uomini spregevoli ed egoisti".
Peccato per il risultato finale, dunque, perché le idee di partenza erano buone e tutto sommato avrebbero potuto dar vita ad una interessante favola moderna, dai toni poetici e sociali insieme, ed invece siamo di fronte ad un'opera forzatamente disarticolata, dai personaggi sbiaditi, dai contenuti troppo moralistici e da un incomprensibile autocompiacimento nell'usare metafore, allusioni e simbolismi pressoché di continuo.
Laura Spina
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