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Boyhood











Quello che il regista Richard Linklater ci mostra con il film candidato all’Oscar è lo scorrere del tempo, la crescita di una famiglia, di un bambino, Mason, che inizialmente conosciamo all’età di sei anni e di cui seguiamo la crescita sino al suo arrivo al college ormai diciottenne. Con lui ci sono la sorella Samantha, con cui ha il tipico rapporto che si instaura tra fratello e sorella, e i due genitori ormai separati, la madre, una donna insoddisfatta dalla sua carriera che comunque non si arrende e decide di tornare a studiare per conseguire un master, e un padre, affettuoso e presente nonostante non si vedano spesso. Entrambi i genitori cercano, con differenti risultati, di ricostruirsi una vita e una famiglia, in cui i due ragazzi vengono inevitabilmente coinvolti, tra mariti ubriaconi e violenti e fratelli acquisiti, che poi vengono persi di vista alla fine del rapporto tra gli adulti, e una matrigna amorevole e affettuosa che mette al mondo un loro fratello.
La particolarità di questo gioiellino cinematografico è che ogni anno, per ben dodici anni (ossia l’arco temporale raccontato anche nel film), il regista e il cast si sono incontrati per brevi periodi per girare alcune scene. Uno stratagemma unico e che differisce enormemente da un’altra famosa opera del regista texano, la trilogia iniziata nel 1995 con “Prima dell'alba” e proseguita con “Prima del tramonto” nel 2004 e “Before Midnight“ nel 2013, dove comunque tra le varie pellicole c’erano degli sbalzi temporali. La trovata utilizzata in “Boyhood”, invece, ci permette di crescere con i protagonisti della pellicola, con Mason in particolare, e di vivere con loro la loro vita, una vita tra alti e bassi, difficoltà e gioie, primi amori, gli amici e le passioni. E sullo sfondo anche lo scorrere di eventi storici, l’evolversi della musica sino allo sviluppo della tecnologia odierna e di forme di comunicazione come i social network.
Verdiamo i protagonisti invecchiare con l’incedere della pellicola, senza bisogno che si ricorra ad altri attori o a un trucco di scena, ma è semplicemente la naturale conseguenza dello scorrere del tempo.
Un film anomalo, che sorprende positivamente lo spettatore, ma lo fa senza colpi di scena tipici del mezzo cinematografico, grandi drammi o al contrario grandi felicità, ma il tutto è in equilibrio, proprio come capita nella vita reale, in cui è un continuo susseguirsi di eventi, felici e meno felici.
A supportare la splendida regia di Linklater, un ottimo cast con in cima la bravissima Patricia Arquette, candidata al premio Oscar come miglior attrice non protagonista, che interpreta magistralmente la madre di Mason e Samantha, regalando al suo personaggio profondità, donandole forza e allo stesso tempo debolezza, tutte emozioni che possono convivere in tempi diversi dentro ognuno di noi. Insieme a lei, buona prova anche degli altri interpreti: nei panni del padre Ethan Hawke, protagonista anche della trilogia citata precedentemente e candidato anch’egli all’Oscar, e dei giovanissimi attori Ellar Coltrane, visto anche in “Fast Food Nation” e che risulta convincente nel ruolo di Mason, e la stessa figlia del regista, Lorelei Linklater, che porta sullo schermo il personaggio di una sorella a tratti irritante, ma comunque sempre abbastanza presente.
Infine, a curare l’ottima sceneggiatura è lo stesso regista, che, infatti, concorre per vincere l’ambita statuetta sia per la miglior regia sia per la migliore sceneggiatura originale.

La frase:
"Addio vecchia signora che ascolta il rock e guida la motocicletta!".

a cura di Redazione FilmUP.com

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