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Blueberry
Seguendo una moda della quale oggigiorno pare non si possa fare a meno, anche lo sceriffo francese Mike Blueberry si appresta a sbarcare sul grande schermo. Il cowboy, partorito dalle matite e chine del celebre fumettista francese Moebius, ha affascinato il franco-olandese Jan Kounen, alla sua opera seconda, dopo "Dobermann", che ha richiamato con se Vincent Cassel ad interpretare un suo personaggio. E pare che dal "padre" della saga, affascinato dalle possibilità del grande schermo, il regista abbia avuto completa carta bianca, andando a realizzare quel che, secondo lui, dovrebbe essere un "episodio mancante" dell'epopea western.
Il cast che assembla si rivela in effetti interessante. Insieme a Cassel, Kounen si avvale della rediviva (e ormai avviata cantante) Juliette Lewis, del sempre ottimo e gigone Michael Madsen, e del mitico Ernst Borgnine, leggendario interprete dell'ormai lontano "Mucchio Selvaggio", e del più recente "1997 Fuga da New york", solo per citarne alcuni. Tali premesse, che si fondano sulla doppia co-produzione con il Messico, per le locations, e con gli Usa, intervenuti anche finanziariamente, fanno ben sperare nel film.
Che, puntualmente, come molto del cinema estivo (non un caso la distribuzione a luglio), delude le attese.
Chi si aspetta un western rimanga assolutamente alla larga. Kounen punta in alto, troppo in alto, finendo per spargere a destra e a manca senza raccogliere nulla. Il tentativo, alto e nobile, di cercare un punto di contatto e di confronto tra la ratio tipicamente occidentale, e un misticismo di classico stampo pellerossa, si va ad infrangere su scelte basilari che minano finanche la credibilità del tutto. In sostanza la scelta della resa dell'apprendimento delle tecniche indiane avviene attraverso sterili e incredibili (nel senso negativo del termine) caleidoscopi di immagini in digitale, che dovrebbero rendere un'idea che sembrerebbe non esser chiara anche allo stesso regista. E in questo barbaro modo viene risolto anche lo scontro finale, il punto di contatto conclusivo, che altrimenti avrebbe visto faccia a faccia due simpatici figurini quali Madsen e Cassel. Ma Kounen, dopo tanta carne al fuoco, con tanto fumo e poca ciccia, sì presta ad un orripilante volo pindarico di oltre dieci minuti di immagini casuali assortite, che innervosirebbe perfino se usato come salvaschermo di un computer.
L'idea, forse, se sviluppata meglio, avrebbe potuto anche rendere l'immagine di un mondo western del tutto atipico. Così come è stata realizzata, genera soltanto un po' di ribrezzo e tanta noia.
Pietro Salvatori
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