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Blade Runner 2049

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Rosanna Donato03 ottobre 2017Voto: 7.5
 

  • Foto dal film Blade Runner 2049
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Atteso, attesissimo da tempo, sta per arrivare nelle sale italiane "Blade Runner 2049" di Denis Villeneuve ("Arrival"), il sequel del film cult del 1982 diretto da Ridley Scott, che vedeva come interprete principale Harrison Ford ed è considerato una pietra miliare del cinema. Sono trascorsi trent'anni dai fatti accaduti nell'originale e nel suo sequel i replicanti prodotti dalla Tyrell sono stati messi al bando. La Wallace, una società comandata dal misterioso Neander Wallace (Jared Leto), ha acquisito le tecnologie della Tyrell per sviluppare una nuova serie di replicanti completamente ubbidienti all'uomo e dalla longevità indefinita. L'Agente K (Ryan Gosling), uno dei Blade Runner incaricati di ritirare i vecchi modelli che ancora vivono in clandestinità, scopre un segreto nel corso di una missione e dovrà indagare per capire la verità. La sua strada si incrocerà con quella di Rick Deckart (Harrison Ford), svanito nel nulla trent'anni prima.
I sequel non vengono mai visti di buon occhio dal grande pubblico italiano, soprattutto quando si tratta del proseguo di un film cult come quello di Ridley Scott. Ma il regista Denis Villeneuve è riuscito a realizzare una pellicola in grado di soddisfare tutte le esigenze dello spettatore, a partire dal livello emozionale e fino a raggiungere quello visivo, dove l'impatto con la straordinaria estetica è potente e non cenna ad attestarsi per tutta la durata del film. Quindi inquadrature ed effetti speciali non deludono affatto, ma anzi mostrano un gioco di luci, colori e suoni che difficilmente verrà dimenticato nell'immediato. A fare da supporto allo straordinario effetto visivo, la meravigliosa colonna sonora di Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch (segue lo score dell'originale), in grado di trasmettere tutta l'essenza drammatica della storia, dei personaggi e delle situazioni che si verificano. Un ritmo lento, poco incisivo, ma colmo di intensità, che - nonostante renda "Blade Runner 2049" decisamente piatto, permette al pubblico di godere di ogni piccola sfumatura della vicenda narrata.
Lineare nella struttura, questo sì, ma presenta alcuni colpi di scena non da poco. Se inizialmente si pensa a precisi risvolti, essi vengono poi annullati senza alcuna riserva nel film, in quanto ci viene espressamente detto "no, non è così. Non è quello che hai pensato tu fino a questo momento e non è ciò che ha pensato il protagonista". D'altra parte diventa anche chiaro che il passato dell'Agente K non sia stato facile (si sospettava sin dall'inizio visto la sua freddezza nel portare a termine la prima missione a cui assistiamo), anche se nulla delle storie dei vari personaggi viene approfondito. Ma poco importa, perché il regista ha dato vita a un degno sequel di "Blade Runner", facendoci sospettare pure che un'intelligenza artificiale, incarnata in questo caso da Ana de Armas, possa provare certe emozioni. È proprio qui che si percepisce la solitudine del protagonista, il quale - come in "Lei" di Spike Jonze - trova in una "voce" l'unica sua ancora di salvezza. Tutti hanno bisogno di qualcuno nella propria vita e l'Agente K ha solo Joy - questo il suo nome -, oltre al suo lavoro. Ottima l'interpretazione di Ryan Gosling, che ha saputo dare spessore al suo personaggio e a mostrane tutte le debolezze. Ana de Armas ha dato vita a una figura enigmatica, intensa, difficile da impersonare, mentre Robin Wright è stata relegata ad un ruolo minore, ma è risultata altrettanto credibile.
Ma passiamo adesso a un personaggio fiacco e stereotipato come Wallace, interpretato da Jared Leto, con il quale il regista avrebbe ottenuto un risultato migliore se avesse osato di più nel "costruirlo".
Infine, possiamo dire che "Blade Runner 2049" rappresenta una sorta di omaggio all'originale, perché durante il film vengono riportati alla memoria determinati personaggi e oggetti. Anche l'atmosfera cupa e l'atteggiamento delle figure lo ricordano, lasciando lo spettatore in una sorta di circolo nostalgico dal quale sarà difficile uscire.


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