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Black Panther

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio08 febbraio 2018Voto: 5.0
 

  • Foto dal film Black Panther
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Ad introdurlo nelle avventure cinematografiche dei Vendicatori di casa Marvel aveva già provveduto, nel 2016, il non esaltantissimo “Captain America: Civil war”, diretto a quattro mani dagli stessi Anthony e Joe Russo che si erano occupati due anni prima dell’ottimo “Captain America: The winter soldier”.

Nuovamente con le fattezze del Chadwick Boseman che è stato interprete, tra l’altro, del biopic musicale “Get on up: La storia di James Brown”, il T’Challa meglio conosciuto come Pantera Nera – dotato di abilità sovrumane dopo aver ingerito l’Erba a Forma di Cuore – torna sul grande schermo in un lungometraggio tutto suo che lo vede salire al trono in qualità di nuovo re del Wakanda quando torna a casa in seguito alla morte del padre.
Lungometraggio che, al fine di salvare il proprio paese e il mondo intero, lo vede costretto ad indossare le vesti del supereroe e ad unirsi alla CIA e alle forze speciali del Wakanda (le Dora Milaje) dal momento in cui due nemici si alleano intenzionati a detronizzarlo.
E, se il boss marveliano Stan Lee – creatore insieme al disegnatore Jack Kirby del personaggio, apparso per la prima volta in “Fantastic Four (vol. 1)” numero 52, risalente al Luglio 1966 – non manca di concedersi il consueto, esilarante cameo, l’Andy Serkis della trilogia “Il Signore degli Anelli” torna a ricoprire il ruolo del supercriminale Ulysses Klaue, già in azione in “Avengers: Age of Ultron” di Joss Whedon; facendo il paio – per quanto riguarda volti provenienti dalla saga tolkieniana – con il Martin Freeman che incarna l’agente della CIA Everett Ross, del tutto ignaro delle ricchezze del Wakanda.

Quest’ultimo visto anche nel sopra menzionato “Captain America: Civil war” e che va ad arricchire in maniera ulteriore un lodevole cast prevalentemente black comprendente, nel mucchio, Angela Bassett e Forest Whitaker, ovvero Ramonda, madre del protagonista, e Zuri, sciamano e consigliere del re, nonché sorta di Obi-Wan Kenobi. Del resto, se in un primo momento l’impressione generale è quella di avere davanti agli occhi un cinecomic fortemente influenzato dal sottogenere conosciuto come Blaxploitation, nato negli Stati Uniti all’inizio degli anni Settanta per rivolgersi al pubblico degli afroamericani, non si fatica ad avvertire una certa influenza da determinati aspetti visivi appartenenti all’universo di “Star wars” (non dimentichiamo che siamo sempre in casa Disney) nel corso delle oltre due ore e dieci di visione.

Però, se da un lato appare interessante l’evidente tentativo di proporre una trasposizione marveliana capace di distaccarsi dalle sempre più simili a se stesse precedenti, spesso non molto diverse da lunghi spot pubblicitari per action figure, dall’altro il regista Ryan Coogler si rivela ancora una volta inadatto alla gestione di opere d’intrattenimento, come già aveva lasciato intuire tramite il non troppo riuscito “Creed – Nato per combattere”, spin-off della serie “Rocky”.
Perché non solo l’avvio si presenta immediatamente moscio, ma le spettacolari sequenze d’inseguimenti automobilistici o di scontri corpo a corpo risultano tutt’altro che in grado di coinvolgere... mentre emergono indispensabili messaggi anti-razzisti, ma la noia continua a regnare sovrana, fino alle ultime due situazioni poste durante e dopo i titoli di coda.


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