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Black or WhiteLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Thomas Cardinali24 ottobre 2014
I grandi attori spesso e volentieri hanno bisogno di autoprodursi per parlare di tematiche importanti, rispetto ai soliti classici blockbuster. “Black and White” è il più classico di questi esempi: dopo i rifiuti degli studios, Kevin Costner decide di mettere mano al portafoglio per una storia che affronta con ironia la tematica del razzismo tanto cara al pubblico americano e affida la direzione a Mike Binder, che mostra una mano non propriamente convincente. La musica è gradevole con la partecipazione, durante la scena del funerale, della figlia 28enne Lily Costner nei panni della cantante.
Il premio Oscar per “Balla coi lupi” interpreta Elliot Anderson, un nonno la cui vita è stata sconvolta dalla perdita in poco tempo della figlia e della moglie e che ora è chiamato a badare alla sua nipotina. La piccola mulatta è interpretata in modo dolcissimo e splendido da Jillian Estell, che rende realistiche le situazioni di vita familiare trascinando anche il pubblico nelle sue vicende. Chiaro l’omaggio da parte di Costner al regista, compagno d’avventura in “Robin Hood – Il Principe dei ladri” e “Waterworld”, Kevin Reynolds. E’ soltanto un caso che il suo avvocato in questo film si chiami Rick Reynolds? Forse, ma ci piace leggere tra le righe questo nostalgico romanticismo. La vicenda ruota interamente intorno alla contesa sulla piccola Eloise, che dopo la morte della nonna è contesa dal nonno e dalla madre del padre alcolizzato e drogato. Inizia una battaglia giudiziaria che fa da cornice al vero tema principale: la discriminazione razziale di cui Elliot viene accusato per tutto il lungometraggio. Toccante da questo punto di vista come questo nonno buono cerchi di riabilitare il padre per il bene della piccola e come a sua volta si impegni a cambiare per lei. Troppo divertente la tecnica alternativa agli alcolisti anonimi. Il confronto raggiungerà dibattiti molto caldi nell’aula di tribunale, dove Costner spara bene le cartucce a sua disposizione. La sceneggiatura però è abbastanza debole, infatti, i personaggi non sono caratterizzati appieno e il problema d’alcolismo è trattato con superficialità. I problemi dell’America con la gente di colore sono pregiudiziali e nonostante i miglioramenti siamo lontani da una definitiva risoluzione. Costner fotografa una normale famiglia sconvolta dal dolore evidenziandone tutti i tratti più umani, ma purtroppo la sua prova non è intensa e trainante. Forte la parte humor, che lo vede confrontarsi con la “nonna nera” Rowena, una pazza Octavia Spencer, che è cieca di fronte ai reali problemi del figlio. Opera leggera e vedibile, ma che non riesce ad analizzare il problema come in opere quali “American History X” e “Il buio oltre la siepe”. Costner ha deciso di produrre questo film nella speranza di incassare anche al botteghino, ma sicuramente questa storia è troppo lunga, per l’intreccio due ore sono troppe, e la regia è sicuramente troppo piatta, senza regalare mai un colpo di scena per gli spettatori. La realtà è che sono più importanti le azioni e spesso e volentieri sono queste a decidere l’opinione su una persona, non il colore della pelle. Il messaggio è bello e il cast interessante, ma quest’opera purtroppo non è niente di più. La frase dal film:
Un mio amico mi ha detto che non gli sembri un alcolizzato. Ha detto: Questo è un figlio di puttana arrabbiato I FILM OGGI IN PROGRAMMAZIONE: In evidenza - Dal mondo del Cinema e della Televisione. |
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