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Big Game - Caccia al presidente











Il primo che vediamo coinvolto, sempre sotto la regia del finlandese Jalmari Helander che lo aveva diretto nell’atipico fanta-horror "Trasporto eccezionale - Un racconto di Natale" (2010), è il piccolo Onni Tommila nei panni di Oskari, il quale, seguendo una tradizione che si tramanda di padre in figlio, affronta la sua prima spedizione di caccia nella foresta, sebbene i saggi del villaggio – incluso il genitore – nutrano dubbi sulle proprie capacità.
Quasi subito, però, entra in scena la spettacolarità con l’Air Force One che, diretto a Helsinki ma dirottato da un gruppo di terroristi grazie alla complicità del corrotto capo della sicurezza Morris alias Ray Stevenson, si schianta a pochi metri dal posto in cui si trova il ragazzino; dove, espulso in una capsula di salvataggio, cade anche il Presidente degli Stati Uniti William Alan Moore, ovvero il Samuel L. Jackson di "Pulp fiction" (1994).
Da qui, da un lato seguiamo lo sviluppo del rapporto d’amicizia che s’instaura progressivamente tra i due, dall’altro Morris cerca di mettersi sulle loro tracce affiancato dal mercenario Hazar, interpretato da Mehmet Kurtulus; mentre il direttore della CIA, Il Vice Presidente ed il Generale dell’Esercito Americano Underwood, rispettivamente con le fattezze di Felicity Huffman, Victor Garber e Ted Levine, per affrontare al meglio la situazione, si rivolgono, dal Pentagono, al veterano agente Herbert, incarnato dal vincitore del premio Oscar Jim Broadbent.
E, mirati anche a ribadire che niente ci è regalato, i piuttosto movimentati novanta minuti di visione intendono soprattutto rispolverare il vecchio ma sempreverde mito dell’unione tra due diverse culture destinata a fare la forza, attraverso una vicenda che guarda in maniera evidente alla celluloide infantile risalente agli anni Ottanta, ma corredando il tutto con violenti cattivi che non avrebbero certo sfigurato nel super classico dell’action "Die hard - Trappola di cristallo" (1988).
Un mix atipico, dunque, tanto più che infarcito di uno humour nero che lascia tranquillamente intuire la mentalità tutt’altro che americana e rassicurante alla sua guida, tra vertiginose cadute dall’alto rinchiusi in un frigorifero ed effetti pirotecnici non assenti.
Un mix talmente atipico che, però, sfruttando per lo più situazioni già viste nell’ambito del filone, rende non poco difficile stabilire se ci troviamo dinanzi a un qualcosa da bocciare o promuovere, forse non capace di lasciare pienamente soddisfatti gli adulti e che rischia di spaventare, invece, i bambini.
Diciamo che, con ogni probabilità, i tredicenni potrebbero rappresentarne la giusta fetta di pubblico.


La frase:
"Riteniamo sia l’attentato terroristico più grave dopo l’11 Settembre".

a cura di Francesco Lomuscio

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