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Between Strangers - Cuori Estranei
Che spreco! Questo è il primo pensiero che mi coglie alla vista del film di Edoardo Ponti, figlio d'arte al 100% ovvero di Carlo e Sofia Loren. Un cast che avrebbe fatto l'invidia di qualunque regista, e che peraltro recita al meglio, per un'opera che prima dimenticheremo meglio sarà per tutti.
Ma vediamo i nomi che hanno partecipato a questa "impresa": Sofia Loren (su cui non credo ci sia necessità di spendere alcuna parola), Mira Sorvino (già musa di Woody Allen in "La Dea dell'Amore"), Deborah Kara Unger (misteriosa e seducente in "The Game"), Pete Postlethwaite (irlandese perseguitato ne "In Nome del Padre"), Malcon McDowell (lo psicopatico Alex di "Arancia Meccanica"), Klaus Maria Brandauer (subdolo marito in "La Mia Africa") e Gerard Depardieu (il guascone "Cyrano"). Con protagonisti di questo calibro si sarebbe potuto creare qualcosa di decisamente superiore, il risultato è stato un film mediocre (ho visto una comparsa passere due volte in due scene diverse) sia nei contenuti che soprattutto nella regia.
Ritmi lentissimi dominati da primi piani e gesti dilatati a sottolineare si il disagio interiore dei protagonisti, ma anche dello spettatore costretto a sottostare a cento interminabili minuti per arrivare al dimenticabilissimo finale felliniano, in cui i protagonisti si ritrovano "casualmente" allo stesso tavolo.
Tre storie parallele che si sfiorano costantemente senza mai intrecciarsi: Olivia (Loren) prigioniera di un matrimonio che non ha più nulla dell'antico amore, se mai c'è stato, con John (Postlethwhite) un uomo costretto alla sedia a rotelle, la cui personalità gretta e meschina non gli fa capire i desideri di evasine della moglie che si concretizzano nell'ossessione per una figlia abbandonata. Olivia trova più conforto nell'animo gentile di un giardiniere (Depardieu) che nel compagno di una vita.
Natalia (Sorvino) è una fotoreporter di successo che ha seguito le orme del padre (Brandauer) più per inerzia che per l'effettiva voglia personale. Ora sente il bisogno di trovare la vera essenza del suo essere, realizzando ciò per cui sente il reale desiderio.
Infine Catherine (Unger) schiava dei suoi traumi infantili provocati da un padre violento (McDowell), indecisa se vendicarsi gettando la sua vita al vento o perdonare.
File rouge della storia l'apparizione di una bambina, quasi una sorta di angelo, a sottolineare il punto di svolta delle vite delle protagoniste.
Indimenticabile (nel male) la sequenza finale con le tre protagoniste riunite, quasi ad indicare un percorso generazionale che si ripete, totalmente prese a rivolgere un sorriso (finto) alla bambina.
Meno male che abbiamo potuto apprezzare un grandissimo Malcom McDowell, che pur pronunciando al massimo una decina di battute, lascia una fortissima impronta.
Un ultima annotazione ho incontrato regista, protagonisti e produttore. Oltre a sentire le sperticate lodi della Loren sul regista (suo figlio!), hanno anche narrato di come si sono mossi per reperire dei produttori. Un problema di grande portata immagino!
La frase: "Dio ha creato i sogni per ridere di noi quando ci svegliamo dopo averli fatti."
La chicca: la Unger ha preso per tre mesi lezioni di violoncello per sostenere la parte.
Curiosità: fischi a tappeto alla Mostra del Cinema di Venezia sul logo della casa di produzione: la Mediatrade (Gruppo Fininvest).
Indicazioni: Se volete vedere la Loren sullo schermo.
Valerio Salvi
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