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Beastly
Ovviamente, Alex Flinn si è ispirato all’ultra-classico "La bella e la bestia" per scrivere il suo romanzo per ragazzi "Beastly", volto a spingere a guardare al di là delle false apparenze al fine di scoprire la vera bellezza interiore.
Ed è l’Alex Pettyfer visto nel thriller soprannaturale "Sono il numero quattro" (2011) ad incarnarne nella trasposizione su pellicola il protagonista Kyle, bel diciassettenne viziato e superficiale che, incredibilmente popolare nel liceo che frequenta, finisce vittima di un incantesimo lanciatole dall’umiliata compagna di classe Kendra alias Mary-Kate Olsen, la quale, presumibilmente strega, lo trasforma in un orribile mostro facendo rispecchiare nell’aspetto esteriore il suo disprezzabile modo di essere.
Da qui, il regista Daniel Barnz – autore del "Phoebe in wonderland" presentato nel 2008 al Sundance Film Festival – costruisce gli 86 minuti di visione sul corteggiamento che il ragazzo intraprende nei confronti della sempre ignorata coetanea Lindy, con le fattezze della Vanessa Hudgens nota per la serie "High school musical", in quanto, se non dovesse riuscire a trovare entro un anno una donna che s’innamori di lui, sarebbe condannato in eterno a non riavere più il suo vero volto.
Purtroppo, però, l’indispensabile dose d’ironia presente tende diverse volte a concedere spazio a quella che si lascia tranquillamente interpretare come comicità involontaria (memorabile il momento in cui Kyle chiede a Lindy "Sono ripugnante, vero?" per sentirsi rispondere "Ho visto di peggio"), mentre a dominare è un tutt’altro che incalzante ritmo narrativo destinato a trasportare il tutto nell’ambito della noia.
Aspetto, quest’ultimo, accentuato soprattutto dall’incapacità di colpire il cuore dello spettatore come altri lungometraggi hanno saputo fare nel rielaborare la fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont (si pensi solo allo splendido "Edward mani di forbice" di Tim Burton), tanto da non permettergli di respirare in maniera efficace l’aria del dramma.
Anche se l’insieme, tendente inoltre a ricordare quanto sia triste che in amore le lettere scritte a mano non si usino più, potrebbe soddisfare sia le adolescenti fan di "Twilight" e simili che le spettatrici più propense al piccolo schermo, cinematograficamente meno esigenti ed in grado di sorvolare sulla tutt’altro che accattivante estetica proto-"Vogue" per accontentarsi in maniera semplice delle romanticherie verbali.
La frase: "Ora so cosa si prova a essere brutti".
Francesco Lomuscio
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