Ballata dell'odio e dell'amore
Ritorno alla grande per Alex de la Iglesia, a due anni di distanza da "Oxford murders".
Il geniale sceneggiatore e regista spagnolo ha presentato in concorso alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia il suo ultimo film "Balada triste de trompeta", grottesco e al di fuori da ogni schema come tutte le sue opere.
Il film era atteso da tempo, tanto che anche Quentin Tarantino (presidente della giuria alla Mostra) non ha resistito alla tentazione di vederlo in sala tra il pubblico.
Madrid 1937: Javier vive in un circo con suo padre, che continua la tradizione di famiglia e diverte i bambini nei panni del Clown Triste. La sua vita cambia di colpo quando gli uomini di Franco irrompono nel circo e costringono tutti – suo padre compreso – ad armarsi di machete e a combattere per loro.
Madrid 1973: Javier è cresciuto, è un uomo impaurito dalla vita e dalle relazioni umane, profondamente segnato dal passato. Anche il suo aspetto è quello di un bambino indifeso, non ha potuto vivere la spensieratezza dell’infanzia e per questo non riesce ad evolvere e diventare adulto. Sua unica certezza è che il proprio destino è già segnato, sarà un clown triste come suo padre: chi meglio di lui può esprimere sul volto il dolore e la malinconia? Javier viene assunto in un circo come spalla del Pagliaccio Allegro, e per lui questo è come tornare alla vita. D’altronde il circo non è metafora di vita, è vita. E’ l’unico universo che abbia mai conosciuto. E nel circo Javier inizia a viverla questa vita, e a pareggiare i conti in sospeso con lei. Si innamora della bellissima acrobata Natalia, la donna di Sergio, il Pagliaccio Allegro, e riesce a tenere testa proprio a Sergio, uomo violento e crudele.
La trama del film può sembrare semplice, una storia d’amore con lui, lei e l’altro. Ma il tutto viene filtrato dal genio visionario del regista, e diventa un capolavoro per gli occhi che scivola pian piano verso l’horror più sanguinario.
"Balada triste de trompeta" è una riflessione sulla follia e sulla violenza, siano esse scatenate da una guerra o dalla passione sfrenata per una donna. Entrambe, infatti, risvegliano gli istinti più selvaggi dell’uomo liberando la bestia che si nasconde dentro ognuno di noi. Per de la Iglesia non c’è alcuna differenza tra la gelosia provata da Javier per Natalia e quella dell’elefante che non vuole che le donne avvicinino il suo domatore, si parla sempre di un sentimento ancestrale e dirompente che porta alla morte.
Le citazioni sparse nel film dal regista, da Hannibal Lecter a King Kong, non fanno altro che sottolineare questo suo pensiero. La maschera grottesca di Javier nel finale, che sarà per sempre il suo viso, ricorda il tetro Jocker interpretato da Heat Ledger, e i personaggi del circo rimandano a delle atmosfere degne di Fellini.
Il genio del regista riesce a tenere in perfetto equilibrio tutti i piani narrativi aperti e fonde perfettamente la storia della caduta del franchismo con la discesa verso il baratro di tutti i protagonisti. A partire dai bellissimi titoli di testa, il continuo scambio di ruoli tra vittime e carnefici, uomini e bestie toglie allo spettatore qualunque punto di riferimento e lo lascia in balia delle emozioni.
Un capolavoro arricchito da un ottimo cast, in particolare da Carolina Bang nei panni di Natalia e da Carlos Areces in quelli di Javier. Una splendida regia, che raggiunge il suo culmine nella scena finale.
Un film potente, dallo straordinario impatto emotivo, immaginifico. Cupo e gotico ma anche fiabesco, da gustare lasciandosi andare in balia delle emozioni suscitate dalle immagini e lasciandosi stupire dall’inimaginabile.
Il cinema di Alex de la Iglesia è così, lo si ama o lo si odia, è impossibile rimanere indifferenti.

La frase: "Io non sono mai stato bambino".

Giuliana Steri

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