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Antichrist
Una coppia, mentre sta facendo l’amore, perde l’unico figlio che, incustodito, precipita da una finestra. Nel tentativo di superare il dolore e ricominciare a vivere, l’uomo, che è psicoterapeuta e che pare aver reagito con più forza alla tragedia, conduce la moglie, per guarirla, in una capanna in mezzo ai boschi, chiamata Eden, in cui la donna aveva, anni addietro, completato la sua tesi di laurea sulla stregoneria nel Medioevo.
Eden, luogo di paure ancestrali, si rivelerà un inferno che farà affiorare ogni malvagità.
Ci sono autori e registi sopravvalutati. Dopo un buon inizio, magari folgorante, hanno perso per strada quell’intuizione e quel talento visionario che aveva fatto sperare. Lars von Trier è uno di questi.
Non solo è sopravvalutato: cosa ancora più irritante, si autocelebra, si teorizza, in un movimento contrario rispetto all’essere apparentemente "senza tesi" di un grande artista. Il gioco però può durare fino a un certo punto: arriva un momento in cui le carte si scoprono e si vede che sono bianche, sopra non c’è scritto un bel nulla.
Antichrist è la summa del nulla di von Trier: lanciato ad arte come lo scandalo del Festival di Cannes, di scandaloso ha solo l’essere nulla più che un horror raccapricciante e malato, che potrebbe benissimo passare nei cinema italiani ad agosto, quando le distribuzioni latitano.
A Cannes è stato accolto con fischi e sonore risate, come raramente si erano sentite: qualcuno teorizzerà che è una reazione voluta, lo spettatore reagisce come può di fronte alla rappresentazione del male, si vuole salvare e proteggere, quindi sbeffeggia e ride. Tutte storie. Qui siamo di fronte a un’operazione cinematografica che, a tratti, stilisticamente, è sublime, per inquadrature, uso della macchina da presa, colori e suoni, con due attori magnifici, Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg, ma che rappresenta solo un delirio, gli incubi personali di un individuo che teorizza il disprezzo per la donna, la interpreta come sorgente del male, da punire anche sessualmente e che, pure, si autopunisce.
La visione è disturbante, certo, come può esserlo quella di sbirciare per un istante nel cervello di un malato di mente: ma la rappresentazione davvero disturbante del male, che entra sottopelle, che si appiccica addosso e sporca lo spettatore, la troviamo in tutt’altro genere di registi, in Michael Haneke, per fare un esempio di un grande nome che transiterà a Cannes.
Lars von Trier è un pessimo Dario Argento lanciato a razzo, senza freni, volutamente provocatorio e meschino, furbo, tra falli tagliati, infibulazioni con forbici, masturbazioni al sangue, trivellazioni di cosce. Il guaio è quando un autore paragona la propria "arte" a quella di Andrei Tarkovskij, cui il film è, con derisione, dedicato, o al drammaturgo Strindberg: insomma un nano che non arriva neppure alle spalle dei giganti che cita... In quanto ai riferimenti psicoanalitici, paiono tratti da un bigino per neofiti.
Se volete autosoffrire andate a vedere Antichrist: ne uscirete devastati dalla nausea, farete un bell’incubo notturno e il giorno dopo ve lo getterete dietro le spalle. Se volete davvero guardare in faccia il male, recuperate Cronenberg, Haneke... il giorno dopo non sarà così sereno e avrete da riflettere sulla nostra natura umana.
La frase:
- "Senti la sedia sotto di te"
- "Sento un suono. Il pianto di tutte le cose che stanno morendo"
- "È la paura"
- "I nostri pensieri deformano la realtà"
Donata Ferrario
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